Quando si trascorre molto del proprio tempo sui social media, prende piede la convinzione che quell’universo di persone, di vite, di informazioni sia perfettamente sovrapponibile al mondo “là fuori”. In sostanza, il “farsi media” delle esperienze, più che essere un territorio nuovo e tutto sommato parziale, viene considerato tout court rappresentativo del tutto.
Succede così che l’agenda delle opinioni individuali formatesi online subisca un processo di generalizzazione, passando istantaneamente da “l’ho letto su Facebook” a “l’ha scritto il mondo”.
La realtà delle cose è molto diversa. Nonostante la crescita esponenziale avvenuta negli ultimi anni, ancora una piccola minoranza di persone influenza i processi, i successi e i valori espressi dalle (e sulle) piattaforme sociali.
Non è vero che siamo tutti (sui) social. Secondo le stime più recenti, su sette miliardi di individui solo due miliardi sono, per così dire, impegnati in uno o più social media. Senza distinguere fra motivazioni di repulsione personale e vincoli tecnologici, questo dato è sufficiente per sostenere che “l’ha detto la rete” non coincide affatto con “lo dicono tutti”.
1. Il silenzio della rete, i consumatori
I consumatori rappresentano il popolo silenzioso di qualsiasi social network. Secondo le mie analisi spannometriche, si tratta di una schiacciante maggioranza di individui (80% o giù di lì). Sono il capolinea dei contenuti, in quanto, al di là del consumo in sé, non interagiscono e non compiono nessuna azione. Si limitano, per l’appunto, a consumare le informazioni.
A me capita spesso di incontrare persone offline, le quali mi parlano di miei post che hanno zero Mi Piace, zero condivisioni, zero commenti. Probabilmente, questo fenomeno si presta anche a considerazioni più o meno precise, ma resta la difficoltà (se non l’impossibilità) di determinare la portata di questa particolare tipologia di influenza.
In ogni caso, si tratta di persone quasi del tutto invisibili alle metriche di valutazione. Sappiamo di averle raggiunte, ma ignoriamo completamente la loro opinione.
2. La gioia delle statistiche, i comunicatori
Le analisi di mercato dipendono letteralmente dai comunicatori. I comunicatori, a differenza della categoria precedente, sono la parte visibile dei social media perché approvano e condividono i contenuti che consumano.
Proprio perché interagiscono attivamente con il flusso delle informazioni, rappresentano il cosiddetto target cui fanno riferimento la maggior parte delle campagne pubblicitarie online e, per effetto della distorsione generalizzante cui si faceva riferimento all’inizio, anche offline.
3. Il valore aggiunto, i curatori
Al consumo e alla condivisione dei contenuti, i curatori aggiungono la loro cifra critica. Un post arricchito con un punto di vista personale (condivisione + commento) aggiunge valore, indipendentemente dall’essere d’accordo o no con la nuova prospettiva di pensiero.
Questa è la dimensione pulsante delle piattaforme sociali e gli uffici marketing lo sanno.
4. Dal nulla all’idea, i creatori
Se c’è qualcuno che consuma i contenuti, ci deve essere anche qualcun altro che elabora in originale i contenuti stessi. Sono i creatori, un’esigua minoranza (1% o meno) che produce il propellente essenziale per far muovere le reti sociali. Ovviamente, il creatore è contemporaneamente anche consumatore, comunicatore e curatore.
Difficile dire se l’apice della maturità dei social media si raggiungerà solo quando tutti saranno nella condizione di produrre contenuti. Rimane la certezza che dentro questa esigua minoranza hanno preso posto le fonti più alternative, quelle meno ortodosse e, se si vuole, anche più libere.
La relativa facilità tecnologica ha abbattuto i filtri (giocoforza solo analogici) dei guardiani dell’informazione mainstream. Il discorso non riguarda solo i contenuti convergenti con le nostre opinioni personali, ma anche tutta una serie di messaggi contrastanti che diversamente non avremmo mai visto, precludendoci così la possibilità di allargare il nostro spettro di pensiero.
[bctt tweet=”Solo chi crede nella verità può dubitare, anzi: dubitarne. (Gustavo Zagrebelsky)”]
Parto da qui per sostenere come la comunicazione sui social media, ancorché non esaustiva, rappresenti comunque un fatto estremamente stimolante (bufale comprese). A patto che alla base di ogni valutazione ci sia sempre il beneficio del dubbio e l’istinto a domandarsi “perché?”.
Photo by Edgaras Maselskis