“Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata e che sarebbe sembrato loro essere altro”, disse la Duchessa.
Ecco, a volte ho come l’impressione che “oltre lo specchio” del desktop, l’assenza del corpo produca un effetto simile. Ovvero, un travolgente flusso di parole difficile da comprendere in mancanza di una “tangibile” trama fisica.
Poi c’è il tempo. Forse, il vero protagonista della formazione a distanza. Un demone che sembra avere una natura infinita nello spazio liquefatto del pulviscolo elettronico. Il momento presente diventa inafferrabile perché spariscono i gesti, i contatti e, più di tutti, il feedback che conferma l’avvenuta interazione.
Lo sappiamo, la prima impressione influenza i sentimenti che generiamo negli altri. Tutto avviene in una manciata di secondi, poiché si fonda essenzialmente sul linguaggio del corpo e il tono di voce. Infatti, al pari del non-verbale, anche la comunicazione para-verbale non viene certo aiutata dalle connessioni “ballerine” che fanno il paio con il divario digitale.
In questo senso, le ricerche di Albert Mehrabian, benché accettate e contestate nella stessa misura, confermano i ruoli significativi dell’oltre-verbale nella percezione del messaggio comunicativo.
La chimica della comunicazione
Ogni volta che comunichiamo, entrano in gioco una miriade di reazioni chimiche. La stessa frase cambia diametralmente significato se nel momento in cui l’ascoltiamo (o la pronunciamo) avvertiamo una sensazione di caldo o di freddo, siamo investiti dal profumo dei fiori o dall’olezzo di un cassonetto dei rifiuti, siamo “ubriachi” di luce o avvolti da una tenebrosa penombra.
Evidentemente, nell’impossibilità di condividere lo stesso spazio fisico, il docente e la sua aula sono rispettivamente soli, ognuno in balia della propria chimica.
Intelligenza emotiva o intelligenza fisica?
Ci siamo accorti, grazie alla complicità del “distanziamento”, dell’esistenza di un equilibrio che comprende, oltre agli aspetti cognitivi in senso lato, anche il nostro modo di muoverci, di respirare, di “sentire”. Ora, a meno di rivoluzionarie invenzioni olografiche, nei corsi di formazione a distanza dovremo cercare di far convivere e, possibilmente, far convergere l’intelligenza emotiva e quella fisica.
Ormai è chiaro, il virtuale non ci fa (ancora) entrare “in contatto”, ma con le parole possiamo determinare le condizioni essenziali. Del resto, digitale e linguaggio condividono per molti versi la stessa funzione, cioè la capacità di ri-creare mondi scomparsi o del tutto inesistenti.
L’equilibrio è il centro di tutto
C’è un modo per prendere il controllo del linguaggio del corpo in una relazione comunicativa mediata dalla tecnologia? E se la “connessione” fosse anche una questione di sincronizzazione dei ritmi biologici individuali?
Ora, nelle lezioni online il disallineamento è sempre dietro l’angolo, basta spegnere o ruotare la webcam et voilà… la perdita del contatto è servita.
Sono alla ricerca di un metodo. Diversamente da quanto succede in un’aula fisica, le parole devono caricarsi anche di un’energia nuova, diretta, pratica. Direi fattuale.
Il prerequisito della concentrazione è la postura, e allora perché non iniziare a stimolare la presa di coscienza della presenza “qui ed ora” con l’avvertire di essere (e avere) un corpo?
In questo modo, comincio le mie sessioni con l’invito ad appoggiare saldamente i piedi sul pavimento. Banale? Non proprio, dato che così facendo si innesca immediatamente una sensazione di stabilità emotiva, fondamentale per accogliere il giusto grado di fiducia verso gli altri.
Un buona postura stimola una corretta respirazione. Se i polmoni si espandono, si abbassano i livelli di stress e quindi prende il passo una maggiore possibilità di gestire le situazioni “in controllo”.
Il contatto visivo “immaginato”
Senza contatto visivo viene a mancare la fiducia. Credereste a qualcuno che vi parla senza guardarvi negli occhi?
Per questo, pur in una condizione in larga parte asincrona per quanto riguarda la “ricognizione” degli sguardi, chi ha la responsabilità della comunicazione (in questo caso il docente) deve continuamente mantenere il legame sociale “vivo” attraverso il sorriso dritto in webcam.
Importante! Non deve essere un sorriso di “facciata”, ma uno di quelli, come diceva mia nonna, che “parte prima dagli occhi e poi arriva alla bocca”.
Tutto il resto non possiamo che immaginarlo, ma abbiamo la consapevolezza di aver fatto il possibile per credere nella magia dell’incrocio di sguardi che, ahinoi, non vediamo.
E la comunicazione verbale?
Il registro verbale, apparentemente, dovrebbe essere l’unico a superare indenne lo “specchio”. Diciamo che è avvantaggiato rispetto al non-verbale, ma guai a darlo per scontato.
Infatti, mi sono accorto che molte modalità tipiche delle lezioni in aula (abbreviazioni, suoni onomatopeici, parole “mimate”) ottengono scarsi risultati nel “digitale”, se non addirittura trasmettere un senso di insicurezza.
Come dire, il messaggio che passa è quello di una scarsa attenzione nei confronti di chi ci ascolta. Peraltro, in una condizione che, per quanto possa essere tecnologicamente “perfetta”, richiede comunque il massimo della chiarezza e della semplificazione.
La strada della formazione a distanza diventerà una modalità predefinita, anche se dovremo aspettarci ancora diversi stop-and-go. È nella natura di qualsiasi trasformazione.
Col passare del tempo, la sfida non sarà più tecnica, ma ancora volta dovrà confrontarsi con le strutture biologiche e, in particolare, con una delle loro espressioni essenziali: la credibilità.