Se c’è una domanda che fa venire l’orticaria dopo i quarant’anni, questa è “Hai deciso cosa vuoi fare da grande?”. Un colpo basso che, oltre all’elevato tasso di offesa in essa contenuto, rischia di spedire sotto i piedi (e oltre) l’autostima di chi se la sente rivolgere.
Sono convinto che ognuno di noi abbia una sua velocità e un suo modo di mettere in fila le cose.
Infatti, tutti abbiamo, come dire, due montagne da scalare. La prima, quella con la salita meno ripida e costante, cominciamo ad affrontarla fin dalle scuole elementari e, per tutta una serie di motivi, pian piano si consolida come routine quotidiana.
Vista da fuori, può dare luogo almeno a un paio di valutazioni diametralmente opposte:
- “Chissà come vivrà bene quella persona? Così, senza problemi.”
- “Come fa quella persona ad accontentarsi della situazione che vive?”, da cui discende il famigerato “Cosa vuoi fare da grande?”
La seconda montagna, un Everest in tutti i sensi, invece ce la troviamo di fronte da un giorno all’altro, spesso senza nemmeno tanto preavviso. È quello scatto da “cambio vita” che sopraggiunge quando succedono fatti traumatici (la scomparsa di un famigliare, un infarto scampato per il rotto della cuffia, un terremoto professionale) o, più semplicemente, quando soppesato il percorso fatto e quello che ancora ci resta da vivere, decidiamo che è arrivato il momento di svoltare.
Non sapremo mai se siamo sulla strada giusta, ma di sicuro abbiamo dalla nostra la consapevolezza che il tempo è la risorsa più importante di cui disponiamo. Ci accorgiamo di questa trasformazione grazie alla mutazione repentina delle nostre “visioni” circa le situazioni che viviamo.
Dire di “no” è un’opzione sempre più allettante
Durante la scalata della prima montagna, tutto fa brodo. Non ci tiriamo indietro rispetto a nulla e siamo disposti ad accettare qualsiasi incarico, secondo la formula “Intanto dico di sì, poi studio e imparo come fare”.
All’opposto, quando imbocchiamo il sentiero della seconda montagna, quasi con l’innesco di un automatismo, ci viene molto più facile dire di “no” a tutte quelle offerte che sono incongruenti con il nostro obiettivo di vita, non solo professionale.
Un istinto che probabilmente ci portiamo dentro da sempre, ma che ora vediamo con occhi diversi. La nostra nuova identità ci fa capire che siamo veramente noi, solo quando abbiamo la forza di scegliere cosa rifiutare. Vista da un’altra prospettiva, dire “no” a qualcosa non significa altro che dire “sì” a qualcos’altro. In questo caso, alla nostra vita.
Prendersi il tempo di pensare a se stessi
Siamo immersi dentro un sistema estremamente fluido e, come non dirlo, via via sempre più complesso.
A volte, l’impressione è quella di non capire il verso della corrente e ci lasciamo trasportare da quest’ultima senza una ragione specifica. In poche parole, agiamo all’interno di uno schema di cui non conosciamo più le regole.
La nostra seconda fase ci fa capire la priorità che ha il tempo su tutto. Ecco allora che il nostro bilancio quotidiano non è più la pallina lanciata follemente dentro la roulette del “Quanto guadagnerò?”, ma il valore che desideriamo lo ricerchiamo nel “Cosa ho imparato oggi?”, nelle persone che ci hanno dato energia, nel tempo che siamo riusciti a dedicare a noi stessi.
La nuova misura delle priorità scavalca l’ossessione di fare qualsiasi cosa pur di sentirsi “realizzati”. Tutto ciò a favore di una “lentezza” che mette ordine ai pensieri e seleziona solo quelli che effettivamente ci fanno stare bene.
Si crea così la condizione migliore per scendere dalla ruota del criceto e andare un po’ in tutte le direzioni.
Viviamo di connessioni a tutti i livelli, sia relazionali che nei termini di accrescimento dei saperi, e adesso lo scopo irrinunciabile è quello di conquistare del tempo da dedicare alle persone che ci circondano.
Se fino a questo momento l’unica cosa che contava era l’investimento esclusivo sui nostri “punti di forza”, ora scopriamo (non è mai troppo tardi per farlo) che la nostra vita non riguarda solo noi. È grazie a questo cambio di stato che ci accorgiamo di quanto sia preziosa la condivisione dei ritmi, dei desideri, dei respiri.
Perché, in fondo, sono sempre le relazioni a dare un senso al grande gioco della vita.