Jaime ha 7 anni e in fatto di creatività non scherza per niente. Complice un esercizio di matematica, è riuscito a far vacillare le “certezze” del suo maestro. Peraltro, quest’ultimo non aveva perso tempo a bollare con una grossa x rossa la soluzione proposta dal piccolo studente.
Dentro una domanda apparentemente banale (“Scrivi in cifre i seguenti numeri”), Jaime ha dato sfoggio di un pensiero laterale non comune. Così, “dieci” è diventato 11, “novantotto” 99, “ottantuno” 82, “sessantasei” 67 e “trenta” 31. Una dimostrazione di creatività che molti adulti stentano a comprendere anche dopo l’esplicitazione del ragionamento adottato da Jaime.

Ormai, non è più una novità constatare come i primi anni di vita siano i più fecondi per trovare soluzioni inattese. Si tratta dell’applicazione inconsapevole di tutte quelle tecniche di problem solving che da grandi troviamo “scientificamente” infiocchettate nei vari corsi di formazione.
Escludendo la genialità innata, ci dobbiamo chiedere come mai crescendo perdiamo in tutto, o in gran parte, questa dimestichezza con la creatività. Colorare dentro i margini, studiare per rispondere anziché per capire o, come nel caso dell’esercizio di matematica, vedersi bocciare una soluzione inattesa, fanno parte di quel corollario scolastico che man mano finisce per plasmare degli ottimi esecutori di regole, soffocando sul nascere qualsiasi deviazione dall’ordine costituito.
La creatività è una competenza
Poi succede che una delle skill più richieste dalle aziende (non solo da quelle smart) sia la creatività. Ovvero la ricerca di una maniera operativa che sappia anche vedere oltre le righe.
Imparare la creatività è un po’ come ritornare bambini, soprattutto in quell’età dello sviluppo in cui la dominante risulta essere la domanda chiave di tutto e su tutto: perché? Perché l’acqua è bagnata? Perché gli uccelli volano? Perché lo zucchero è dolce? Tutte domande, queste e molte altre, che smettiamo di farci perché le riteniamo scontate, se non addirittura banali.
Con le dovute differenze da persona a persona, il cosiddetto “blocco creativo” è sopratutto causato dalla mancanza di pensiero critico.
Nella vita di tutti i giorni, senza scomodare le teorie del marketing, ci rendiamo conto (ma spessissimo non lo mettiamo in pratica) che pensare è il primo presupposto per sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda del problema. Più comunemente, partiamo in quarta e a testa bassa, senza riflettere sullo scenario e su quali “scorciatoie” ci possono essere.
Chiamatelo brainstorming o pensieri in libertà, ma resta il fatto che vedere (altra cosa rispetto al “semplice” guardare) permette di affrontare i problemi (non solo quelli di matematica) da tutte le angolazioni.
E quando le idee non arrivano?
Succede a tutti di trovarsi “scarichi”, anche a quelli che campano con la creatività. Per quanto si possa essere allenati, a un certo punto ci si ritrova dentro la ruota del criceto: i pensieri “frullano” sempre nella medesima direzione.
Questo è il segnale che il nostro cervello ha bisogno di una distrazione. Dopo aver guardato fuori dalla finestra per qualche minuto o aver cercato di risolvere un puzzle online, rimarremo sorpresi di fronte al fioccare di un gran numero di idee fresche e mai pensate prima.
Chiedersi il perché di tutte le cose è la chiave che apre alla soluzione inattesa e spesso creativa. Non è un caso che le “trovate” migliori ci vengano sotto la doccia, quando a un certo punto ci chiediamo perché cantiamo sempre il solito motivetto.

