Una parte consistente della formazione professionale è rappresentata dai corsi riservati agli apprendisti. La ragione è piuttosto ovvia, con questi corsi le aziende possono godere delle agevolazioni contributive previste dalle attuali normative.
La faccenda diventa più nebulosa quando si prendono in considerazione le motivazioni dei partecipanti. Quest’ultimi, lungi dal considerare l’acquisizione di competenze di base e/o tecnico-specialistiche un’occasione per accrescere il proprio bagaglio di conoscenze, molto spesso vivono l’esperienza formativa con malcelata sofferenza.
Tant’è che una domanda che mi sento rivolgere un giorno sì e l’altro pure è “Perché devo fare i corsi di formazione dal momento che sono andato a scuola?”. Ovviamente, non me la posso cavare con un laconico “Sono previsti dalla legge”, per cui – in perfetta sintonia con Eduardo De Filippo – mi prodigo a dimostrare che la nostra cassetta degli attrezzi del sapere, al pari di quella di un idraulico, va continuamente arricchita di nuovi strumenti per poter stare al passo con i tempi.
Ciò è indispensabile perché la tecnologia si evolve, le conoscenze cambiano, i mestieri (vecchi e nuovi) richiedono sempre più competenze trasversali. Per dire, solo qualche anno fa nessuno si era mai posto il problema di investire nelle cosiddette soft skill.
La formazione aziendale non consiste nel ripetere gli argomenti dei vari percorsi di studi scolastici, ma partire da quelli per innestarci sopra nuove abilità, nuove relazioni di senso, nuove visioni.
Imparare a gestire il proprio tempo
Un argomento che affronto sempre con molto piacere è quello della gestione del tempo. Lo interpreto partendo dall’affermazione più classica: “Non ho tempo”. A questo scopo faccio notare che la dotazione è la stessa per tutti, ovvero 24 ore al giorno, e come anche le persone più impegnate riescono a ottenere risultati sorprendenti.
In qualche modo, anche il rendimento nello studio è una questione di organizzazione del tempo. Tuttavia, quando siamo seduti sui banchi di scuola non ci rendiamo conto dell’enorme differenza che passa fra spendere il tempo e investirlo. Ecco allora che la formazione aziendale serve a far comprendere il valore delle priorità (cosa è utile affrontare) in relazione alla qualità degli obiettivi (specifici, misurabili, attribuibili, realistici, temporizzabili) per ritagliarsi tempi di vita più felici e meno stressati. Che poi è lo scopo ultimo per cui vale davvero la pena di lavorare.
Pensare lateralmente, criticamente, praticamente
Possiamo anche aver collezionato una vagonata di master post-laurea (per carità, utili), ma se ci limitiamo a fissare inermi la fotocopiatrice inceppata, alla stregua di una mucca che vede passare il treno, è certo che prima o poi qualcun altro, con spiccate capacità di pensiero critico, prenderà il nostro posto.
Sto parlando della famosa carta degli imprevisti (abbiamo giocato tutti a Monopoly, vero?), quella che sbatte in faccia la realtà che non ci aspettiamo.
Fintanto che siamo a scuola possiamo ancora sperare di farla franca (almeno una volta) ricorrendo alla vetusta scusa de “Il cane mi ha mangiato i compiti”, ma se dobbiamo presentare una relazione al consiglio di amministrazione e il nostro computer ha deciso di suicidarsi proprio in quel momento, dobbiamo cercare di capire, il più rapidamente possibile, come uscire dall’impasse.
Da episodi concreti come questo si possono ricavare una miriade di lezioni che vanno dall’analisi delle informazioni della situazione contingente al problem solving, passando attraverso le capacità comunicative e gli schemi creativi per “vedere”, come nessun altro, la soluzione.
Il fallimento non è un brutto voto
La scuola insegna molto a rispondere alle domande e poco (molto poco) a capire il valore delle risposte sbagliate. Così, l’unica relazione che si instaura è fra l’esattezza del riscontro e il voto che lo quantifica.
Nel lavoro i fallimenti sono inevitabili. Alcuni dipendono da noi (abbiamo commesso un errore), mentre altri non li possiamo prevedere (il malfunzionamento di una macchina). In ogni caso, anziché cercare un alibi al di fuori di noi stessi, è molto più vantaggioso (e prezioso) fare tesoro della lezione appena ricevuta.
È in questo modo che accrescono l’esperienza (maturiamo una nuova percezione delle azioni e dei fatti), la conoscenza (il dolore è un grande maestro), la caparbietà (non fallire mai ci porta a pensare che andrà sempre così e al primo tonfo… boom), il valore (diventiamo persone di riferimento nel nostro ambito professionale perché abbiamo sperimentato gli effetti dell’imperfezione).
Dopo la scuola… il far west
Capita che dopo la scuola la vita non sia affatto simile a quella che avevamo immaginato. Ci vedevamo in banca, in un ufficio direzionale, in uno studio di progettazione, e invece eccoci a friggere delle patatine.
Abbiamo davanti due strade: convincerci che più di così non possiamo sperare, oppure raccogliere tutte le risorse di cui disponiamo e giocarcele. Non dimentichiamo mai: i confini si rispettano, i limiti si superano.
La formazione aziendale non fornisce il pane bello e cotto, ma il lievito che sarà indispensabile per impastare conoscenza e coraggio, abilità ed efficienza, fatica e successo.