Ci sono tre momenti in cui riceviamo normalmente degli auguri: per Natale/Capodanno, per Pasqua e in occasione del nostro compleanno. Mentre per le feste comandate l’automatismo scatta per “contagio”, nel caso del nostro anniversario la questione si fa assai più complicata.
La nostra data di nascita, a meno che non siamo dei santi (e quindi dei defunti), non è indicata in rosso in nessun calendario e, di conseguenza, questa mancanza presuppone che qualcuno se ne ricordi autonomamente.
Tutto ciò, fatta eccezione per il rutilante mondo dei social dove l’affetto degli “amici” in occasione del nostro compleanno fa sentire tutto il suo partecipato calore.
Dopo che l’anno scorso su Facebook sono stato letteralmente travolto da una valanga di “Buon Compleanno” (258 per la precisione) che ho ringraziato uno a uno (mi intristiscono i post cumulativi del tipo “Siete stati tantissimi e avete reso la mia giornata favolosa…”), quest’anno ho fatto un esperimento sociologico. Ho modificato la privacy del mio profilo inibendo (la funzione si chiama “Solo io”) la visualizzazione pubblica della mia data di nascita.
Sorpresa! Il vuoto pneumatico, tranne un amico di vecchia data che mi ha lasciato un messaggio in bacheca. Dopo un anno trascorso a gongolarmi sulla mia importanza (al limite della santificazione), ecco che in un battibaleno sono precipitato nell’oblio.
Quindi? Le centinaia di auguri che ricevevo su Facebook erano solo il risultato di un algoritmo “di memoria” al quale non interessava un fico secco delle mie celebrazioni personali, ma all’opposto era molto più attento nell’innescare dinamiche persuasive con finalità mercantili. L’equazione è quella tipica della scoperta dell’acqua calda: più relazioni, più traffico, più informazioni, più business (per Facebook, ovviamente). Per altro verso, l’augurio di compleanno diretto a uno sconosciuto (sì perché la maggioranza degli “amici” social sono spesso sconosciuti se siamo avvezzi a darla a tutti, l’amicizia), sono l’apripista per “rompere il ghiaccio” e allargare così la nostra (e di Facebook) rete di chiacchiericcio.
Ricevere centinaia, a volte addirittura migliaia, di auguri “social” per il proprio compleanno non è di per sé un male, è preoccupante credere che dietro a tutto ciò ci sia un affetto autentico e del tutto spontaneo. Chi ci vuole bene e tiene per davvero alla nostra vicinanza, gli auguri ce li fa in privato (magari, con giorni di anticipo) senza avvertire alcun bisogno di esibirli pubblicamente. Sotto questo aspetto ci sono molti punti di contatto con la “depravazione” social delle condoglianze.
Per farla breve, viviamo tempi in cui Facebook detiene la proprietà dei compleanni (e dei R.I.P.) e, alzando sempre più l’asticella, ci ha portato alla soglia del birthday stalking. Che a Menlo Park siano convinti di essere sulla strada giusta, lo dimostrano le sempre crescenti implementazioni “ben auguranti”, dalle card ad hoc fino alle clip personalizzabili.
Come spesso succede, non tutti i mali vengono per nuocere. Abbiamo una memoria da essere umani, quindi fallace e poco efficiente, e allora perché non approfittare della potenza social per non fare delle figuracce?
Una volta c’erano le agendine cartacee dove annotavamo le date importanti (i compleanni lo erano e lo sono), oggi abbiamo la comodità del digitale, ma per favore sfruttiamo questo plus per cambiare almeno canale di comunicazione. Cioè, una volta che Facebook ci ha ricordato il compleanno dell’amico e dell’amica, facciamo lo “sforzo” di confezionare un augurio personalizzato. Per esempio, perché non fare una telefonata?
Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Se con Facebook è praticamente impossibile dimenticarsi la data di compleanno di chiunque, ecco allora che anche i più zelanti (quelli che ci telefonano) rischiano di peccare di scarsa autenticità.
La soluzione è racchiusa dentro Alice nel Paese delle Meraviglie. È questo il luogo dove la Lepre Marzolina, il Cappellaio Matto e il Ghiro festeggiano il “non compleanno”, ovvero gli altri 364 giorni. Ecco un modo efficace per riconoscere i nostri affetti più cari e distinguerli da quelli artificiali indotti dalle piattaforme sociali.