PowerPoint non è l’attrazione. Le transizioni, i testi che rimbalzano, le secchiate di colori non spostano di un millimetro la nostra reputazione e tanto meno veniamo ricordati per gli effetti speciali che infarciscono le slide.
Può sembrare un contraddittorio gioco di parole, ma una presentazione non è una presentazione. Quando saliamo sul palco di un congresso, di una convention o di una conferenza i protagonisti siamo noi e calchiamo quella ribalta solo per fare una cosa: uno show. Le slide ci aiutano a tenere la scena, ma non sono la scena.
“Siamo dei medici (ma anche degli ingegneri, dei commercialisti, dei manager), mica degli attori!” è una frase che sento ripetere spesso, come a dire che nel “nostro ambiente” si è sempre fatto così e “qualcosa di diverso” non verrebbe né capito, né apprezzato.
E invece no! Mai sentito parlare della Mucca Viola? Per farsi ricordare (e, quindi, venire cercati, contattati, incaricati) è necessario fare quello che tutti gli altri non fanno. Più esplicito? Se “tutti” fanno le slide con murate di testo, con camionate di elenchi puntati, con immagini al limite della comprensione umana (che non ci piacciono, vero?), spostiamo il registro della nostra comunicazione esattamente all’opposto.
[bctt tweet=”Il cambiamento non avviene chiedendo il permesso; casomai chiedendo scusa, dopo. (Seth Godin)” username=”giowile”]
Bene, allora come si fa? Intanto non buttiamoci subito a capofitto a disegnare le slide direttamente dentro PowerPoint. Non c’è bisogno di essere dei registi, degli scenografi o (ancora) degli attori per mettere sulla carta i punti chiave della nostra comunicazione.
Cosa?
Invariabilmente, ogni comunicazione in pubblico si può strutturare secondo uno schema preciso. Sia che dobbiamo raccontare i risultati di un bilancio aziendale, una ricerca scientifica o una ricetta di cucina, la logica narrativa non cambia:
- Il problema (Ogni racconto nasce da qui. Se non c’è un problema, che bisogno c’è di fare una “presentazione”?)
- La soluzione (Se c’è un problema, c’è anche una soluzione. I problemi che non hanno soluzione, non sono problemi.)
- Il modello operativo (Qual è il metodo che proponiamo per raggiungere la soluzione?)
- I vantaggi (La soluzione proposta, come cambia la vita delle persone?)
- Le alternative (Ci sono più soluzioni?)
- Il riepilogo (Le tappe sintetiche di quello che abbiamo detto.)
- L’invito all’azione (La call to action non è sempre un “adesso fatelo voi”, più verosimilmente è la scintilla che fa accendere nel pubblico la fiamma dell’approfondimento. Quando riusciamo a incuriosire qualcuno, aumentano a dismisura le nostre probabilità di venire ricordati.)
Quanto?
Anche la migliore idea, sciorinata per ore, diventa una noia mortale. Le scienze cognitive ce lo dicono da sempre: l’attenzione è una merce molto scarsa.
Esiste una durata ideale per un intervento? Ovviamente, la regola non la detta un algoritmo, ma il buon senso.
Se ci è stata assegnata un’ora, teniamo conto di una quindicina di minuti per le domande (non scappiamo, le domande sono fondamentali) e articoliamo l’intervento sapendo che dopo venti minuti l’attenzione precipita. Quindi, per venticinque minuti stiamo in silenzio e fissiamo un indefinito punto all’orizzonte? Niente di tutto questo! La nostra abilità consiste nell’interagire con la platea (domande, battute, giochi), in maniera tale da non fare avvertire il “peso” della relazione.
Come?
Vogliamo diventare davvero una mucca viola in mezzo a tante mucche marroni? Allora, prendiamoci tutto il tempo necessario per spazzare via dalle slide il testo che comunque leggiamo (e il pubblico fa lo stesso), studiamo per bene la parte senza sottovalutare l’aspetto ironico (anche ai premi Nobel piace ridere), miglioriamo la nostra presenza scenica (portiamo sul palco un oggetto pertinente, ma apparentemente illogico).
E così, all’improvviso, in mezzo a tutti gli altri, l’unico colore che si vedrà sarà il viola.
Quanti insegnamenti …
Quante chicche ….
Quanti segreti …..
grazie Sergio Gridelli !
Fabio Bargnesi