Si sa, il linguaggio è la realtà più prossima del pensiero. Ce ne accorgiamo soprattutto in due circostanze pressoché opposte:
- quando non riusciamo a tradurre in parole qualcosa che ci frulla in testa (il classico “Ce l’ho sulla punta della lingua…”)
- quando le frasi “ci scappano” e vorremmo riprenderle, ma ormai è troppo tardi
Il secondo caso non è popolato esclusivamente dalle cosiddette “parolacce”, dalle battute chiaramente offensive e da tutto l’universo del politically incorrect, in particolar modo ci sta dentro una lunga teoria di osservazioni “sottili”, ma impregnate di tangibile negatività.
In sostanza, pronunciamo frasi “fatte” che, nella loro innocente meccanicità, vanno a minare la credibilità, se non addirittura la nostra stessa identità intellettuale.
“Ho sempre fatto così”, un classico
Quindi? Credi davvero che sia il modo giusto di porsi? Cosa pensi possano percepire di te i tuoi interlocutori?
Te lo dico io, l’immagine che trasmetti è quella di una persona rigida e resistente al cambiamento. Non fosse altro che oggi, grazie ai balzi in avanti della tecnologia (vale in qualsiasi ambito), c’è sempre un modo più efficace per fare le cose che abbiamo sempre fatto.
“Non lo trovo giusto”, l’ingenuità fatta persona
Il mondo non è giusto, le situazioni non sono giuste, la vita è – spesso – ingiusta. E allora? Se pensi di cavartela con questa sbrigativa affermazione passi per una persona senza idee e, sotto molti punti di vista, anche piuttosto immatura.
Se una cosa “non la trovi giusta”, prima di lasciare andare le parole, chiediti (e chiedi) il perché di quella decisione. Nella risposta c’è la scintilla che può migliorare i tuoi comportamenti e le tue valutazioni.
“Sto per dire una cosa stupida”, l’hai detta
Il “mettere le mani avanti” è molto spesso dovuto alla mancanza di fiducia in se stessi. Se sei tu il primo a svalutare le tue idee, come pensi che possano essere considerate dai tuoi interlocutori?
Ricorda sempre che è molto più importante “come” si dicono le cose, rispetto a “cosa” si dice.
“Non c’è problema”, e invece c’è
È noto come il cervello umano non sia in grado di riconoscere il “non”, pertanto ciò che rimane ben stampato nella mente dei tuoi interlocutori è solamente il “problema”.
Di conseguenza, tutte le volte che utilizzi questo approccio quando qualcuno ti chiede di fare qualcosa, è come se volessi far pesare il fatto che poteva essere un problema e tu l’hai risolto.
“Me ne occupo con vero piacere”, quanto suona meglio?
“Ci provo”, quindi sei poco convinto di riuscirci
“Fare o non fare. Non c’è provare”, è la potente riposta del saggio Yoda al poco convinto Luke. Il “provare” nasconde sempre una buona dose di incertezza, di sfiducia, di pessimismo.
Quando devi affrontare un compito complesso, hai solo due strade possibili:
- trovare le risorse materiali e intellettuali per riuscirci
- offrire un’alternativa
Provare “tanto per provare” non ha mai offerto nessuna garanzia a nessuno.
“Arrivo fra un minuto”, aspetta e spera
Lo so che tutti usiamo abitualmente questa frase al posto di “arriverò presto”, ma non ci allontana dal giudizio sulla nostra superficialità. Perché, va detto, poi finiamo per estendere questo modus anche al “ci metto un minuto”, ovvero la rassicurazione sull’esecuzione di un’attività che “umanamente” non può essere completata in soli 60 secondi.
Le persone apprezzano molto più la sincerità della bugia, ancorché quest’ultima sia espressa come “da cliché”.
“Non sono stato io”, e allora?
Nella stragrande maggioranza delle organizzazioni, prima si cerca il colpevole e solo in un secondo momento (a volte terzo, quarto…) si pensa a come rimediare al danno. Nasce da qui l’atteggiamento di difesa che molte persone innestano subito, quasi come un pilota automatico.
La mancanza sistematica di assunzione di responsabilità, indipendentemente dal ruolo avuto nella manifestazione dell’errore, ti fa percepire come quello che ha sempre l’indice puntato verso gli altri. Una spiegazione dei fatti il più obiettiva possibile è sempre il modo migliore per trovare il rimedio e, per il momento, mettere sullo sfondo il colpevole (tutti sbagliano, noi compresi).
“Non ce la farò mai”, infatti…
Dire di non farcela o di non potere raggiungere un obiettivo, comunica agli altri che non sei disposto a impegnarti a fondo per trovare il modo di riuscirci. A volte, le difficoltà sono tali da impedire effettivamente il raggiungimento della meta, ma un atteggiamento positivo e propositivo è sempre la strategia migliore.
C’è sempre di mezzo il famigerato “non”, allora anziché dichiarare quello che non puoi fare, comincia col dire ciò che puoi fare.
“Non posso consegnarti il lavoro oggi” diventa “Ti consegno il lavoro domattina”. Semplice, no?