Tutti noi, senza per forza essere esperti di linguistica o di sociologia della comunicazione, ci siamo accorti di come il web abbia stravolto e, per certi versi, annullato i canoni tipici della lettura sequenziale. Vale a dire quella modalità di apprendimento “lineare” che si era sedimentata nei secoli, dall’invenzione della scrittura in avanti.
Per farla breve, il web ha introdotto un nuovo modo per approcciare il testo scritto. Le pagine visualizzate dai vari browser non le leggiamo (quasi) più nella loro interezza, piuttosto le sorvoliamo, le spizzichiamo, le sbocconcelliamo. Si potrebbe parlare addirittura di una “non-lettura”, avocata e asservita all’istantaneità del copio-incollo-non penso. Insomma, il recepimento delle parole, una dopo l’altra, ha lasciato il passo alla ricerca di segnali all’interno di una pagina che viene, a sua volta, “fotografata” simultaneamente.
Senza entrare nel merito dell’articolato e controverso dibattito sulle parole di carta e di bit, appare evidente che per rendersi un minimo interessanti sulla rete, ça va sans dire, è sempre più necessario capovolgere la piramide e mettere subito in primo piano le conclusioni.
Questo inedito “adattamento sistemico” ha finito per condizionare un po’ tutti gli strumenti adibiti alla rappresentazione delle idee. Tuttavia, l’ambito delle presentazioni multimediali sembra essere invece refrattario a questa trasformazione. Nel mondo, tutti i giorni, migliaia di presentatori fanno poltiglia delle facoltà intellettuali di incolpevoli platee attraverso l’inoculazione di dosi massicce di slide zeppe di testo.
PowerPoint e i suoi simili non sono stati inventati per fare i libri o le locandine. Sono stati pensati per avere al proprio fianco un presentatore che è lì per comunicare. Diversamente si sarebbe chiamato lettore.
Fate mente locale sulle presentazioni con PowerPoint cui avete assistito e vi accorgerete che nella stragrande maggioranza dei casi persone espertissime di una determinata materia non riescono a dimostrare, nemmeno lontanamente, la medesima abilità nel presentarla. Colori raccapriccianti, testo corpo 10 e lettura del medesimo da parte del (maldestro) presentatore sono molto spesso il leitmotiv di queste “torture” intellettuali.
Al di là delle tecniche di esposizione dei contenuti, non esagero se dico che il 99% delle presentazioni ignora i fondamentali della comunicazione. Tutti espedienti che anche i presentatori più improbabili mettono invece in pratica nelle loro relazioni di ogni giorno. Ad esempio, per descrivere il funzionamento di uno strumento fanno un disegno sul tovagliolino di carta del bar e non imbastiscono certo cinquanta slides piene di testo e di punti elenco che leggono poi pedissequamente, incuranti del fatto che (molto probabilmente) il pubblico non è analfabeta.
Prendendo quindi spunto dalla quotidianità, per fare una buona presentazione sono necessari: un messaggio (che cosa), ovvero qualcosa da dire con semplicità e chiarezza, la conoscenza dei destinatari (a chi) modulando di conseguenza i concetti espositivi (sul medesimo argomento cambiano i canoni di comunicazione se il nostro pubblico sono degli ingegneri aero-spaziali o dei bambini di prima elementare), un obiettivo (il perché) da mettere subito in chiaro fin dall’inizio, la conoscenza del mezzo (con che cosa) per evitare che le slides diventino il nostro personale blocco degli appunti proiettato pubblicamente.
Partendo da questi presupposti fondamentali, col tempo ci accorgeremo che le nostre presentazioni conterranno meno descrizioni e più racconto, meno elenchi puntati (meglio nessuno) e più immagini, meno effetti speciali e più metafore.
Otterremo così una presentazione complementare, sintetica e, non guasta mai, ironica. La prova del nove sull’efficacia delle vostre slides? Presto fatta: se la presentazione viene compresa e capita anche senza bisogno del presentatore significa che è sbagliata.