Negli ambienti delle presentazioni multimediali circola una teoria secondo la quale i talk durano mediamente quaranta minuti, di cui trenta utilizzati per cercare di fare andare il proiettore. C’è anche una versione più drastica, quando il proiettore non va proprio per niente. A me è successo la settimana scorsa, per dire.
Insieme alla comunicazione con la quale vi annunciano il dimezzamento del tempo che avevate previsto per la vostra esposizione (la “ferale notizia” ve lo danno, ovviamente, solo una manciata di minuti prima dello show), gli inconvenienti tecnici rappresentano l’altro lato dell’incombente disastro. Giorni, spesso settimane, di elaborazione e… plof, tutto vanificato.
Per tutte queste ragioni, l’esperienza è una formidabile maestra.
Siccome quando succede l’inimmaginabile non possiamo pensare di cavarcela (semplicemente) imprecando, col tempo ho imparato che è fondamentale avere in cascina il famoso Piano B. Vale a dire, l’alternativa che vi salva la reputazione. Detto in altro modo, la tanto osannata improvvisazione non è altro che il risultato di molto studio e di una solida preparazione.
Che si tratti di una drastica riduzione del tempo a disposizione o della forzata rinuncia alle vostre amate slide, è possibile domare gli imprevisti impostando la presentazione sotto forma di storia. Una narrazione che segue un filo logico (le slide), ma che al bisogno può essere modulata e adattata anche nelle condizioni più avverse (impossibilità di usare le diapositive e/o contrazione dei tempi).
Avere ben chiaro in testa lo sviluppo narrativo della nostra esposizione ci consentirà di recuperare i passaggi maggiormente evocativi e, scartando tutto il superfluo, di preoccuparci unicamente di toccare il cuore delle persone. Ciò significa togliere di mezzo gli approfondimenti (basta rappresentare il dato più significativo e non tutti quelli che avevamo preparato), le informazioni tecniche (limitiamoci a una metafora, quella maggiormente aderente alle esperienze dell’audience), le disquisizioni che avrebbero un senso solo se supportate da una o più immagini.
I fatti non sono la storia. Noi siamo la storia.
Del resto, il pubblico potrà dimenticare buona parte di quello che abbiamo detto, ma non potrà mai scordare la sensazione che gli abbiamo fatto provare emotivamente. E ciò è possibile solo attraverso una narrazione carica di passione.
A questo proposito, il meccanismo vincente è quello con il quale si conclude la Divina Commedia. Dopo cento canti Dante ha un obbligo cogente nei confronti del lettore: deve descrivere Dio. Un esercizio intellettuale troppo grande anche per un genio come lui. Allora, ricorre a un espediente narrativo formidabile. Non scrive come è fatto Dio, ma lo raffigura magistralmente attraverso la sensazione di piacevolezza che si avverte quando ci si sveglia da un sogno di cui non si ricorda nulla. Resta solo l’emozione provata. Appunto.
Ogni storia, quale che sia il suo contenuto, fa sempre appello a tre sensi tipicamente umani: la logica (il Logos), la credibilità (l’Ethos), l’emozione (il Pathos). Ovvero, la dimostrazione di ciò che si afferma, l’affidabilità del narratore, la passione espositiva.
La teoria del numero tre non è casualmente ridondante.
Si tratta di un pattern molto pervasivo nelle tecniche di comunicazione. Ogni storia ha un inizio, un corpo e una fine. Una narrazione memorabile poggia su tre capisaldi: l’anticipazione di ciò che direte, quello che direte, la ripetizione di quello che avete detto. La stessa struttura del racconto si basa su una triade di archetipi: il problema (il cattivo che ha rapito la principessa), la soluzione (l’eroe che salva la principessa), il beneficio (la principessa che sposa l’eroe e… vissero felici e contenti).
Ricapitolando.
Anche se siamo in una situazione di assoluta emergenza (dal momento che non possiamo contare sulle slide) e dobbiamo giocoforza rinunciare ai vantaggi multimediali derivanti dall’associazione testo-immagini, la prima regola è quella di non farsi prendere dal panico. Ciò è possibile (fidatevi) se abbiamo in canna il già decantato Piano B. Un’esposizione colloquiale con punti dai contorni netti farà il resto.