Nella nostra carriera professionale, presto o tardi ci capiterà di dover fare una presentazione. Sia che qualcuno ci abbia costretto a “mettere giù due slide” oppure come inevitabile conseguenza dell’evoluzione della nostra narrazione, una presentazione rappresenta sempre uno spartiacque fra il successo e un’opportunità mancata.
Nonostante i tanti consigli su come fare per “non addormentare il pubblico”, non passa giorno senza che ci sia la somministrazione di presentazioni (con o senza slide) che mettono fortemente in discussione le nostre convinzioni sulla teoria dell’evoluzione.
Questo perché i cosiddetti “fondamentali” del parlare in pubblico non prendono quasi mai in considerazione la domanda delle domande: “Che regalo sto per fare al mio pubblico?”.
Se immaginiamo il nostro speech alla stregua di un regalo, siamo maggiormente portati a pensare emotivamente. Tutte le volte che facciamo un regalo a qualcuno, il nostro coinvolgimento va ben oltre il mero gesto di cortesia o, in altri casi, di educazione.
Infatti, ci premuriamo di intercettare i possibili desideri del beneficiario, scegliamo con cura la carta per il confezionamento, immaginiamo, quasi fosse una pièce teatrale, il momento giusto per consegnarlo.
Così come non facciamo lo stesso regalo a tutti, in base al pubblico che avremo di fronte e agli scopi che ci proponiamo (l’onnipresente call to action), scegliamo il regalo più indicato.
La sorpresa
Una presentazione fatta tanto per fare è un’assoluta perdita di tempo. Il pubblico ci dedica un’ora o più del suo tempo (che è sempre un valore) per imparare delle cose che fino a quel momento non conosceva. Ma c’è di più.
Qualsiasi nuova conoscenza perde significato se non viene incasellata dentro un’azione. Per fare questo occorre che i nuovi saperi che trasferiamo al pubblico siano memorabili. Pertanto, sorprendere le persone con esempi nei quali rivedono i loro comportamenti stereotipati è un buon modo per stimolarne l’applicazione.
Di norma, inserisco tre o quattro “sorprese” dentro le mie presentazioni. Per esempio, mi piace cominciare con l’esempio pratico della routine mattutina (farsi il letto, mezz’ora di lettura, andare a correre, etc.) per stimolare il senso di responsabilità e come questo, a sua volta, può migliorare tutta la giornata.
Il miglioramento
Le persone vogliono imparare cose nuove, ma soprattutto sono interessate a migliorare la loro situazione. Succede sempre, indipendentemente dal tipo di presentazione cui andranno ad assistere.
Ovviamente, nessuno si aspetterà da noi la risoluzione di tutti i guai del mondo, compresi i loro. Le persone vogliono “semplicemente” la scintilla che gli farà vedere la trasformazione.
Nel tempo di qualche decina di slide non si possono fare miracoli, a volte per il cambiamento non è sufficiente nemmeno una vita. Tuttavia, è importante fare passare il concetto secondo cui anche un viaggio lunghissimo inizia sempre con il primo passo. Regaliamo quel passo.
La soluzione
Dando per scontato (sono un inguaribile ottimista) che le presentazioni, le conferenze e i dibattiti si fanno perché c’è un problema, il regalo da offrire è proprio la (possibile) soluzione.
Le relazioni “vuote” non solo fanno perdere tempo a tutti, ma sono addirittura controproducenti. Chiediamoci sempre cosa mette ansia al nostro pubblico: “La fidelizzazione dei clienti?”, “I rapporti con i collaboratori?”, “La relazione scuola-famiglia?”.
La comprensione (e la rappresentazione) dei “punti di dolore” è la base di qualsiasi presentazione. Dimostrare di conoscere il terreno su cui il pubblico sta combattendo la sua battaglia è già di per sé un grandissimo dono che possiamo offrire.
La latenza
Senza invadere il campo delle scienze che si occupano di neuromarketing, una tecnica efficace è quella di far scoprire al pubblico un problema che non pensava di avere.
Nessuno avvertiva il bisogno di possedere un computer sottilissimo fino a quando Steve Jobs non l’ha estratto da una busta postale. Quindi, non è sufficiente limitarsi a risvegliare un’esigenza latente. Una volta svelata, è indispensabile esplicitarla in maniera tangibile.
La sensazione
Il pubblico ama “sentire”. Non vuole limitarsi ad ascoltare, vuole avvertire delle sensazioni anche se la presentazione è spiccatamente formale (avvertenza: mai prendersi troppo sul serio).
Impossibile esprimere questo concetto meglio di Maya Angelou: “Ho imparato che la gente si dimentica quello che hai detto, la gente si dimentica quello che hai fatto, ma la gente non potrà mai dimenticare come li hai fatti sentire”.
All’opposto c’è il vuoto o, nella migliore delle ipotesi, un fastidioso rumore di fondo.
La comunità
Lo schema classico del presentatore che parla (o, ahimè, legge) e del pubblico che ascolta passivamente rappresenta la morte della comunicazione. Condividere problemi e soluzioni con le persone del pubblico è fondamentale.
L’interazione fatta bene, cioè senza voler stare a tutti i costi sulla cattedra, è il regalo che nessuno si aspetta. Nasce così una comunità connessa con i messaggi del presentatore che, magicamente, diventano i messaggi di tutti.