Parlare in pubblico ha le sue regole e i suoi tempi. Niente di nuovo, ma in particolare ci sono due minuti critici: il primo e l’ultimo.
Catturare l’attenzione fin da subito è un qualcosa che non si può improvvisare. Mentre negli speech aziendali tutto sommato il pubblico è preparato a sopportare la solita cantilena, quindi sa già come celare la noia con il più inglese degli aplomb, quando si tratta di parlare a degli adolescenti tutto cambia. Quest’ultimi se ne fregano altamente dei formalismi e se non provano interesse per la presentazione, dopo tre secondi sono già lì a smanettare platealmente con il loro smartphone.
È stato proprio durante un mio intervento di fronte a una platea di studenti che ho compreso la necessità di mettere meglio a fuoco l’inizio e la fine del discorso. Per farla semplice, nel primo minuto ci si concentra sull’attenzione, nell’ultimo si lascia qualcosa di memorabile che le persone del pubblico continuano a raccontare anche una volta a casa.
L’inizio
Veniamo alla questione dell’inizio. Quando ci presenta un moderatore non c’è assolutamente bisogno di ripetere chi siamo e cosa facciamo perché è già stato detto da qualcun altro una manciata di secondi prima. Secondo lo stesso principio, è tutto tempo sprecato (e assai poco interessante) ringraziare chi ci ha inviato a parlare e il pubblico che è intervenuto, elogiare gli organizzatori dell’evento e non dire mai, nemmeno con una pistola puntata alla tempia, la lunga teoria di scuse a mo’ di alibi (“non sapevo di intervenire”, “non è il mio argomento”, “mi perdonerete l’emozione”).
L’ouverture di qualsiasi discorso, da quello della cena fra vecchi compagni di scuola al più impegnativo palcoscenico del TED, è sempre un momento carico di aspettative, emozioni, speranze.
Immaginate di essere a un concerto e sentire un inizio come “Buonasera, sono Vasco Rossi e faccio il cantante…”, entusiasmante, eh? Invece, nella realtà succede che si abbassano le luci, qualche secondo di silenzio durante il quale il pubblico trattiene il respiro in attesa di scatenare tutta la sua ammirazione appena parte la prima nota.
Ovviamente, questo non significa passare per maleducati. I ringraziamenti e i saluti si possono benissimo infilare nel bel mezzo del concerto o del discorso. La cosa importante è non “bruciare” l’inizio con qualcosa di scontato e dovuto.
Col tempo, ognuno sarà in grado di affinare le tecniche e mettere a punto le aperture migliori. Per esempio, una cosa che funziona sempre è lo spiazzamento del pubblico, ovvero iniziare con qualcosa che nessuno si aspetta. Io faccio così, appena mi viene data la parola rimango qualche secondo in silenzio in modo che il pubblico si chieda “cosa starà per dire di così importante?” e poi parto con la frase inattesa: “Ci sono domande?”. Scatta così una sottile ilarità che fa rompere il ghiaccio immediatamente.
La fine
Dando per scontato che il nostro discorso sia stato “denso” di contenuti, prima del fatidico “ci sono domande?” (questa volta sul serio) dobbiamo ricapitolare gli argomenti in maniera tale da rinsaldare il collegamento con il pubblico.
Lo scopo non è ripetere per sommi capi quello che abbiamo appena detto, ma aggiungere l’invito all’azione ai punti chiave della presentazione.
Pertanto, nel minuto finale dobbiamo mettere in fila il cosa (che impatto avrà sulla vita delle persone il nostro punto di vista sull’argomento trattato?), il quindi (cosa ha guadagnato il pubblico dopo aver ascoltato la nostra relazione?) e l’azione (cosa è indispensabile che facciano i partecipanti per ottenere i vantaggi prospettati?).
Senza questo “riassunto operativo”, con ogni probabilità avremo sprecato il nostro tempo e, cosa ancora più grave, quello del pubblico.