Dato per morto un giorno sì e l’altro pure, negli ultimi tempi il blog sembra aver ritrovato lo smalto degli albori. Complici le crescenti limitazioni (immancabilmente spacciate per irrinunciabili novità) imposte dalle piattaforme sociali, avere una “propria casa” appare sempre più come una urgente necessità. La molla di tutto questo va individuata nella voglia di poter gestire e governare in autonomia i propri contenuti.
Messa da parte, ormai da qualche anno, la barriera tecnica, oggi un blog può davvero essere considerato alla portata di tutti. L’unica cosa di cui dobbiamo realmente preoccuparci è scrivere. E farlo meglio che si può.
Facile, non è vero? No, non è facile per niente! Un conto è mettere Mi Piace, condividere o scrivere un post di due righe su un social media, tutta un’altra faccenda è confezionare un testo molto più simile a un articolo di giornale che al pensierino della buonanotte.
Certo, è una difficoltà non da poco. Pur tuttavia, ritengo che non sia l’abilità nello scrivere lo scoglio principale, quanto il terrore di mettersi in gioco.
Senza voler fare un manifesto motivazionale sull’apertura di un blog, ho individuato almeno tre paure che scoraggiano molti dal fare “il grande passo”.
1. La paura del giudizio
Tutti gli scrittori, nessuno escluso, sono particolarmente vulnerabili a questa paura. Dopotutto, ogni cosa che scriviamo è una sorta di autobiografia. Per farla semplice, consegniamo al giudizio degli altri pezzi di noi stessi. Per la critica, per l’esame, per la valutazione.
Volendo addirittura drammatizzare, in ogni scritto mettiamo a nudo l’anima. E sappiamo bene che stare sotto i riflettori ci fa uscire dalla nostra rassicurante zona di comfort.
Cosa ho scoperto? L’acqua calda, in un certo senso
Come nelle relazioni, anche con la scrittura non si può piacere a tutti. Quotidianamente, per quello che facciamo e diciamo, giudichiamo e veniamo giudicati. Non per questo ce ne stiamo barricati in casa in un asettico isolamento. Al contrario, accettiamo la sfida. Abbiamo così imparato che a fronte di ogni stroncatura c’è sempre qualcuno pronto a condividere le nostre idee, a criticare costruttivamente, a suggerire miglioramenti.
Ci sono persone che impazziscono per i romanzi di Wilbur Smith, altre li odiano. C’è chi preferisce il catalogo dell’Ikea ai thriller di Patricia Cornwell ed esistono pure quelli del tutto refrattari ai vendutissimi fantasy della J. K. Rowling.
Allora, alla fine della fiera, qual è il segreto per vincere la paura di venire giudicati?
Insistere. Più si scrive, più aumenta la consapevolezza di sé. L’abitudine al rifiuto la si costruisce attraverso quella conoscenza e quell’esperienza da cui discendono la tenacia e la consapevolezza nei propri mezzi.
Carrie, il primo libro di Stephen King, è stato respinto trenta volte prima di venire pubblicato. La medesima sorte è toccata pure a George Orwell che con il suo La fattoria degli animali è stato a lungo liquidato con un laconico “Negli Stati Uniti è impossibile vendere storie di animali”.
2. La paura del conflitto
Molti sono convinti che la scrittura sia una forma d’arte rilassante e per molti versi innocua. L’immagine serena del blogger che se ne sta tutto il giorno davanti al computer, alternando battute sulla tastiera a sorsi di the verde (o birra, a seconda dei casi) è una assoluta sciocchezza.
È inevitabile che la scrittura inneschi una qualche forma di conflitto
Per invidia, per aver violato la secure zone del politically correct o, semplicemente, perché non ci siamo documentati a sufficienza sull’argomento trattato, è gioco forza farci trovare, eventualmente, pronti allo scontro.
Se abbiamo paura del conflitto, ancorché a suon di parole, finiamo sistematicamente per lasciare agli altri tutte le vittorie. Se ciò è grave in un contesto di scrittura professionale, non da meno può avere risvolti negativi anche in ambiti, per così dire, dilettantistici. Non dimentichiamoci che la gestione di un blog con il nostro nome e cognome ha sempre a che fare direttamente con la reputazione personale.
Come si vince la paura del conflitto?
Ricordando a noi stessi (e agli altri) il nostro valore. Di certo, non scriviamo la Divina Commedia o I promessi sposi ogni giorno, ma tutti siamo portatori di valori. Possiamo non essere perfetti (di fatto, nessuno è infallibile), abbiamo comunque il dovere di difendere ciò in cui crediamo. Se non altro per una forma di rispetto nei confronti del nostro impegno, della nostra fatica, della nostra passione.
3. La paura di sbagliare
Solo chi non fa niente, non sbaglia mai. Ovvio, se non apriamo un blog nessuno ci può criticare per quello che non ci scriviamo dentro.
Al contrario, se ci buttiamo nell’impresa verrà sempre il momento di incrociare un grammar nazi, un membro dell’Accademia della Crusca o qualcuno che ci corregge un congiuntivo. Succede a tutti, nessuno è indenne.
Per quanto perfezionisti in questa arte, raramente scriviamo nelle condizioni ideali
Più spesso di quello che possiamo pensare, in questa attività veniamo soventemente disturbati dalla fretta, da una miriade di altre contingenze, dalla stanchezza. Tutti elementi che spalancano le porte alle inesattezze.
Si può superare la paura di sbagliare?
È solo una questione di allenamento. In mezzo a un mare di avversità, ci salva l’esperienza. All’inizio ci mettiamo un sacco di tempo a revisionare un testo, a semplificare un paragrafo, a trovare i sinonimi più efficaci, poi, scrittura dopo scrittura, succede una specie di miracolo: capiamo al volo quello che funziona e quello che è meglio cambiare.
Nonostante tutto, l’errore (o l’orrore) grammaticale può sempre scappare, ma ciò fa parte dei rischi del mestiere e, più passa il tempo, li accettiamo con cognizione e razionalità, senza farci sopraffare. L’esperienza ci ha fornito il controllo della situazione e, per quanto possa essere seccante, sappiamo (quasi) sempre come uscirne.
“L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”, sosteneva convintamente Franklin D. Roosevelt.
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