Un dato è certo, il digitale ha scombussolato le vecchie derive analogiche. Nessuno si salva. Per dirne una, c’è sicuramentre consapevolezza circa il costante mutamento dei canoni classici della pubblicità, ma non sembra che le aziende (o la maggioranza di queste) sappiano ancora bene come affrontare questa trasformazione.
Dopo aver (più o meno) metabolizzato il concetto di istantaneità imposto dal flusso dei bit, il circo della comunicazione promozionale ci mette di fronte una situazione di luci (poche) e di ombre (moltissime). Siccome c’è voluto parecchio tempo per far passare il concetto che la “firma digitale” non è quella scansionata, tutto lascia supporre che ci sia ancora bisogno di molta energia per far comprendere come l’advertising del terzo millennio non si esaurisce con il PDF della brochure schiaffata alla bell’e meglio sul sito istituzionale. E nemmeno allegando a un post la scansione del volantino con gli sconti.
Saltando a piedi pari l’importanza della comunicazione aziendale interna ed esterna, sul fronte digitale di cosa deve tener conto la creatività pubblicitaria?
Il tempo
Noi, immigrati dal paese della pubblicità offline, abbiamo sempre considerato il tempo per la sua sua esclusiva rigidità. Un commercial radio-televisivo di 30 secondi o un annuncio stampa prefigurano un’attenzione strettamente determinata, cioè il pubblico riserva al messaggio una certa quantità del suo tempo in contesti molto definiti. La pianificazione dei palinsesti, da un lato, la vita del quotidiano o del magazine, dall’altro.
Oggi, nell’era del digitale sappiamo dove il puntatore del mouse si ferma più frequentemente nella pagina, cosa viene più visto e cliccato, quali sono gli orari di maggiore consumo dei contenuti. Nasce da qui la transizione dell’annuncio pubblicitario dallo spazio al tempo. Un minuto di esposizione del messaggio a mezzogiorno ha la stessa efficacia di un minuto alle otto di sera? E poi, idee creative concettualmente differenti richiedono il medesimo tempo di “assorbimento”?
Le metriche servono proprio a questo, cioè a farci comprendere come il tempo impatti significativamente sul nostro modello di comunicazione pubblicitaria.
La pubblicità online è fatta su misura
L’offline ci ha addomesticati a elaborare una precisa connotazione dimensionale del messaggio promozionale. I manifesti, la grande affissione e la stessa formalità televisiva stanno inevitabilmente dentro il limite fisico del mezzo e per decenni li abbiamo percepiti così: messaggio e mezzo indissolubilmente uniti.
Il pulviscolo digitale ha reso tutto più dinamico. Il responsive design è ormai cosa nota e ampiamente adottata, mentre è all’inizio il sistema dei contenuti che cambiano in base al tipo di fruitore, al tempo, al luogo.
Come funziona? L’annuncio viene confezionato con titoli, immagini, colori e call to action “personalizzati” per pubblici diversi. In questo modo, quando l’utente atterra su una pagina web, l’algoritmo raccoglie rapidissimamente informazioni su di lui (genere, comportamenti, stili e molto altro) per poi mostrargli l’annuncio più pertinente e aumentare così la probabilità di una sua interazione con quel contenuto.
Il dialogo
Il passaggio fra la comunicazione da uno-molti a uno-uno è lo snodo fondamentale. Se il messaggio è diventato via via sempre più personalizzato, va da sé che occorra anche considerare un ulteriore elemento: il dialogo in tempo reale o quasi.
Il brand non è più all’apice della catena di comando, lassù in cima ci sono i consumatori o, come si sente dire sempre più spesso, i prosumer (metà consumatori e metà produttori, in questo caso artefici di inediti significati del prodotto).
E così, i marketer non terminano più la loro attività con la pianificazione della strategia, ma partecipano attivamente alle conversazioni sui social e prestano particolare attenzione agli influencer. Ovviamente, per interloquire a questo tavolino del bar globale occorre avere chiara qual è la voce della marca, il suo tono, il suo stile e la sua coerenza narrativa.
È tutta una questione di persone
Sulla rete non ci sono i marziani, ma le stesse persone che incontriamo in ascensore, per strada, sulla metro. La differenza rispetto al cosiddetto “mondo reale” (quasi che internet fosse roba che sta per l’appunto su Marte) è l’infinita disponibilità di contenuti. Chiunque può indagare, scegliere, criticare qualsiasi marchio e tutti i suoi prodotti.
Ecco perché il prodotto che si vende da solo non esiste più. Esistono, invece, le persone che hanno decretato il suo successo o, di contro, il suo fallimento. Le macchine, i dati, gli algoritmi ci diranno cosa sta succedendo, ma al centro ci sarà sempre una storia che le persone racconteranno e che condizionerà i loro processi decisionali.
Le persone già abitano in questo futuro della comunicazione pubblicitaria. Ci stanno il tempo necessario per ottenere quello che cercano, anche se non necessariamente questo finisce per coincidere con i loro effettivi bisogni. Sono dentro questo spazio dilatato dal tempo per creare nuove traiettorie e inediti significati, peraltro spesso distanti dall’idea che il brand ha di se stesso.
In questo modo si innescano dialoghi e si condividono opinioni. È la strada maestra che determina il vero valore della marca. Di qualsiasi marca.
interessante il pensare che prima era 1) creatività 2)grafica 3)media e finiva li ! ora invece è fare pubblicità con mezzi e persone dal primo giorno all’ultimo praticamente interattiva !!! ;-)) o mamma mia non c’e’ mai pace per chi è in questo sistema ( pubblicitari – produttori – e fruitori ) 😉