Imparare qualcosa di nuovo significa almeno due cose:
- fare un’esperienza che, amalgamata con quello che sappiamo già, genera nuove traiettorie nell’intricato dedalo delle nostre conoscenze
- qualcuno che ci racconta (o spiega) cose che ignoriamo completamente o ne abbiamo una conoscenza parziale
Posta la questione in questi termini, il medium – che, va detto, è neutro nella misura in cui non diventa lui stesso il messaggio preponderante (McLuhan docet) – dovrebbe essere inquadrato alla stregua di un facilitatore dell’apprendimento, anziché dipinto come un demone impazzito che si mangia l’anima di chiunque si avvicini a lui.
Lasciando sullo sfondo il dibattito “Dad sì, Dad no”, almeno quello inteso nella sua unica e anacronistica accezione della superiorità educativa “in presenza” (quasi a sostenere che il digitale sia il luogo dell’assenza), mi preme considerare il concetto del sapere, ovvero come possiamo riuscire ad arricchire la nostra “cassetta degli attrezzi intellettuali”. Cioè tutte quelle cose che, sedimentandosi, ci forniscono i framework indispensabili per affrontare il lavoro, le relazioni, la vita.
Le modalità di apprendimento hanno sempre dovuto fare i conti con le trasformazioni sociali, in particolare modo con quelle generate dalle continue scoperte tecniche e funzionali che hanno accompagnato l’intera evoluzione umana.
Già con il mito di Theuth, lo stesso Platone porta allo scoperto l’eterno “scontro” fra conoscenza e sapienza, e lo fa mettendo a confronto la tradizione orale con quella scritta, ossia le uniche due modalità di trasferimento delle nozioni conosciute all’epoca.
Poi, col tempo, il “farmaco della memoria”, dalle tavolette di argilla ai bit, passando per la stampa a caratteri mobili, ha dimostrato tutta la sua potenza divulgativa. Insomma, di mezzo ci sono sempre le parole (e le idee che veicolano), ma nel corso dei secoli si sono fatte sempre più leggere, tanto che oggi si sono addirittura staccate dal loro supporto fisico.
Tutto questo per dire che il pensiero ha sempre scelto il mezzo più pratico, istantaneo e leggero per arrivare a destinazione.
Ora, mi sembra molto più interessante spostare tutto l’armamentario critico sull’insegnamento mediato da una macchina digitale (nella scuola, all’università, nella formazione professionale), da “cosa abbiamo imparato” a “quali sono le nostre aspettative circa l’imparare”.
Senza trucco e senza inganno
Al netto delle interazioni fisico-emotive, che hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della persona, specie negli anni adolescenziali della scoperta dell’altro, chi dice che “la Dad non funziona più” finisce per screditare irrimediabilmente il lavoro dei docenti, spostando l’accento – con spregiudicata superficialità – dalle persone alle macchine. Oltre, evidentemente, ad affermare implicitamente che “prima” la Dad funzionava.
È chiaro che in questa situazione di emergenza, che si perpetua da oltre un anno, nessuno ha (e può avere) la bacchetta magica. Pur tuttavia, la magia non la faranno le ruote dei banchi, ma le rotelle delle persone.
Lo scenario che si presenta oggi non sparirà d’incanto come il coniglio del prestigiatore, ma ci accompagnerà anche per gli anni futuri. Nulla tornerà più come prima, con buona pace dei moderni luddisti.
Del resto, era anche inevitabile che una scuola già in sofferenza in tempi normali, presentasse il conto con il supplemento delle connessioni lumaca. Ma sarebbe un errore ritenere che tutto si potrà risolvere a colpi di fibra ultra-veloce.
Le carenze strumentali e infrastrutturali non possono diventare l’alibi dietro al quale nascondere la mancanza di un’alfabetizzazione di base che, spesso, è la principale chiave del rifiuto ideologico nei confronti della didattica a distanza.
Pertanto, l’esclusione della dimensione umana da questa trasformazione epocale dell’imparare, ha significato “travasare” – sic et sempliciter – la lezione in aula dentro una piattaforma di teleconferenza digitale (stesse ore e stessi programmi), con tutte le aberrazioni che questo ha comportato (e comporta):
- stress da iperconnessione
- ossessione per il rispetto del monte ore
- rigetto totale delle modalità asincrone
Pur non essendo macchine, anche le persone alla lunga si rompono. Per fare in modo che ciò non succeda, occorre un elemento fondamentale: la fiducia.
Fiducia nelle capacità generative di chi insegna, fiducia nel senso di responsabilità di chi ha la straordinaria occasione di imparare, fiducia nel valore della formazione per prendere dimestichezza con i nuovi modelli e i nuovi processi.