Tutti abbiamo una storia da raccontare e per ciascuno di noi “la nostra” è senza dubbio “la storia” che batte tutte le altre. Questo è anche il motivo per cui siamo bravissimi a dare consigli agli altri, mentre ci assale il panico appena gli stessi problemi capitano a noi.
Tutte le volte che ho cambiato direzione alla mia traiettoria professionale, inizialmente avevo come la sensazione di stare sopra a un vagoncino delle montagne russe sbalzato fuori dai binari.
Paura? Certo che l’avevo e non nascondo nemmeno il terrore di sfracellarmi, mandando in frantumi tutto quello che avevo conquistato fino a quel momento.
Ma in questa “fine del mondo” c’era sempre una buona notizia. Ogni volta che ricominciavo mi rendevo conto di come la mia rabbia si trasformasse alla svelta in maggiore adattabilità, intraprendenza, tenacia. Tu chiamala se vuoi… resilienza.
Forse, anche per questo, mi è venuto “naturale”accettare l’inevitabile trasformazione funzionale della formazione aziendale, catapultata di colpo dentro alla tecnologia, in seguito allo sconquasso mondiale provocato dalla pandemia. Ecco cosa dovremo scrivere d’ora in poi nel quadrante Threats della matrice SWOT.
La società era liquida anche prima, ma di certo tutto è stato accelerato e quello che sta avvenendo (lavori che mostrano la corda, servizi analogici surrogati dai loro corrispettivi digitali, spazi direzionali e commerciali all’improvviso diventati inutili) si sarebbe probabilmente verificato fra qualche anno.
Non che occorresse augurarselo, ma perlomeno quelli con le antenne più dritte hanno evitato di fare la fine della rana bollita.
Le dolorose lezioni che ho imparato mi hanno insegnato a reagire alle avversità, comprese quelle che si manifestano repentinamente. Perché ho maturato la consapevolezza di come gli scenari mutino, spesso senza preavviso. È solo una questione di tempo.
Allora, vanno bene le competenze, le abilità e le professionalità, ma se ti manca il guizzo del proverbiale anfibio, rischi seriamente di restare lessato dentro il pentolone del cambiamento.
Cambiare il modo di pensare
Tutto ciò che pensiamo determina la direzione delle nostre azioni. Rimanere ancorati allo status quo va bene fino a quando tutto resta immobile attorno al nostro perno.
Appena lo scenario cambia, dopo la prima inevitabile domanda che si fanno tutti (“E adesso cosa faccio?”), ecco arrivare subito due opzioni:
- “Mi do da fare”
- “Aspetto che qualcuno mi risolva il problema”
Evidentemente, possiamo governare solo la prima ipotesi. E come facciamo a sapere se stiamo facendo il passo giusto? Semplice, facendolo e basta.
Potrà rivelarsi un tentativo fallimentare, ma senza quasi accorgercene ci siamo arricchiti di un nuovo punto di vista. E come per incanto la nostra mente viene popolata da nuovi pensieri dai quali, ormai lo sappiamo, scaturiscono nuove azioni.
“Avevamo una mucca che ci dava latte e con cui tiravamo a campare. Ma un bel giorno la mucca cadde in un precipizio e morì. Da quel momento, ci trovammo obbligati a fare altre cose, a sviluppare altre capacità che mai avremmo immaginato di avere. Così, cominciammo ad avere successo e la nostra vita cambiò”, disse il capofamiglia al discepolo del maestro zen.
Reinventare sé stessi
In un futuro non troppo lontano, la fotografia di quasi tutte le professioni odierne apparirà alquanto ingiallita. Per molte di queste sarà addirittura irriconoscibile.
A fatica costruiamo delle identità professionali cui siamo affezionati e, come non dirlo, ci sentiamo garantiti dalla tranquillità del “posto fisso”. Pertanto, è del tutto ovvio che rimetterci in discussione ci spaventi a morte.
Tecnologie come internet, l’intelligenza artificiale, l’automazione, solo per citarne alcune, sono destinate a rimanere e a progredire. Pensare che tutto ciò non ci riguardi è la vera follia.
Esagerando, il maniscalco che non ha colto la direzione del cambiamento e non si è trasformato in un gommista, è rimasto solo con la sua disperazione. Fortunatamente, a distanza di più di un secolo, abbiamo maturato la capacità di vedere le nostre mansioni in maniera più olistica.
È vero che la specializzazione sembra essere la chiave del progresso, ma è altrettanto indubitabile come questo continuo perfezionamento tenga insieme livelli di istruzione, interessi paralleli o divergenti ed esperienze trasferibili anche in altri ambiti.
Nel mio caso, ho preso l’abitudine di concentrarmi su quelle che avverto essere le mie lacune, anche se lontanissime da una loro traduzione concreta nel settore che sto presidiando. Farlo adesso, quando le cose vanno discretamente bene, mi consentirà di essere proattivo quando si presenteranno (inevitabilmente) degli imprevisti da trasformare prontamente in opportunità.
Diventare un marchio
Le persone non cercano un ingegnere, un architetto, un medico. Tutte vogliono trovare qualcuno in grado di risolvere i loro problemi.
L’approccio olistico alle nostre abilità professionali ci consente di non fermarci al titolo di cui ci fregiamo, ma di individuare i veri valori che portiamo sul mercato. Per esperienza, non interessa a nessuno fare un “corso di comunicazione”, ma parecchi sono attratti da una formazione su come “relazionarsi in modo efficace con i propri clienti” che, in buona sostanza, è la stessa cosa.
Non siamo un’etichetta. Siamo un marchio in cui si concentrano capacità e sensibilità.
Il futuro del lavoro, con tutte le ambiguità e le incertezze del caso, non ha come priorità le nostre carriere. Ma queste ultime possono stare in primo piano se ci interroghiamo continuamente sul nostro essere, saper essere, saper fare.