L’espressione “navigare in internet” mi è sempre sembrata eccessiva. Non tanto per il riferimento all’acqua, fatta di atomi, piuttosto in relazione alla presunzione che la rete, come il mare, possa consentire infiniti gradi di direzione.
Non credo sia così. Internet è sostanzialmente un ingrandimento del paradigma digitale, dentro il quale sono possibili movimenti discontinui attraverso sequenze di ipertesti definiti. I link, per quanto numerosi e tendenti all’infinito, non potranno mai aspirare alla continuità della realtà analogica, mare o oceano che sia.
Tuttavia, se spostiamo l’attenzione dall’azione (il navigare) all’attore (il navigatore) è possibile scorgere trappole e imprevisti che, con le dovute approssimazioni, accomunano i naviganti del mouse a quelli della randa.
[bctt tweet=”Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni. (Alessandro Baricco)”]
Immaginiamo che Google sia un porto.
È Itaca dove Ulisse ritorna dopo dodici link che l’hanno portato in luoghi imprevedibili. Alla fine di questa rotta avventurosa eccolo di nuovo a casa, pronto a ripartire. In noi c’è lo spirito dell’odisseo ogni qualvolta il fascino del nuovo e dell’inatteso ci fa deviare dal percorso di ricerca programmato. L’attrazione è irresistibile e la curiosità ci spinge ad affrontare qualsiasi tempesta.
È la banchina dalla quale il veliero salpa alla volta dell’Oceano Indiano. Al timone c’è Sindbad, il marinaio de “Le mille e una notte”. Si tratta di una navigazione di necessità, senza una destinazione propriamente volontaria e forse senza nemmeno un briciolo di entusiasmo per il “viaggio”. Siamo il navigatore persiano tutte le volte che per lavoro dobbiamo cercare qualcosa di molto lontano dai nostri reali interessi. È frustrante, ma dobbiamo pur sopravvivere!
È Palos de la Frontera. La destinazione, contrariamente ai nostri calcoli, non sono le Indie. Internet ci fa paura, ma allo stesso tempo è molto forte il desiderio di scoprire questo “nuovo mondo”. In molti casi l’America non è nemmeno come l’immaginavamo. Ad ogni modo la Niña, la Pinta e la Santa Maria sono sempre pronte a mollare gli ormeggi.
È l’isola deserta sulla quale siamo capitati non per causa nostra. Avevamo una meta, ma il naufragio delle nostre (vecchie) competenze ci ha spinto a imparare un nuovo mestiere. C’è un riparo da costruire e un fuoco da accendere (Prometeo dov’è?). Sbagliando, sperimentando, riprovando abbiamo capito che le parole di carta non sono le stesse del web, che la pubblicità ha cambiato vestito e che il consumatore è il nuovo amministratore delegato. Fino al giorno in cui è arrivato Venerdì e ci siamo dovuti reinventare anche sui social media.
[bctt tweet=”Anche noi, come l’acqua che scorre, siamo viandanti in cerca di un mare. (Juan Baladan Gadea)”]
Poi ci sono loro, i nativi digitali. È fuori di dubbio che per questa generazione internet rappresenti un dato di fatto, qualcosa che esiste da sempre. Il ritmo delle maree digitali l’hanno metabolizzato prima ancora di imparare a scrivere. Resta da vedere se nascere sopra una barca possa anche significare essere un provetto marinaio.