Le forme giunoniche della tabaccaia felliniana sono irresistibili allo sguardo. Dovresti (vorresti?) non sbirciare e invece l’occhio, anzi, tutti e due cadono proprio lì.
Le presentazioni che funzionano, cioè quelle che non ti fanno morire di noia, si basano sullo stesso meccanismo. Ovvero, ti catturano letteralmente l’attenzione. Ma come fanno?
A me gli occhi, le orecchie e tutto il resto
Una buona presentazione e, sia detto una volta per tutte, un bravo presentatore, esordiscono con una frase o una storia coinvolgenti. E tutto questo avviene nei primi venti secondi.
Ormai un po’ di storytelling non si nega più a nessuno, ma ovviamente non è roba da tutti. Una storia che “prende” deve essere personalizzata e il più possibile genuina. Ad esempio, la narrazione di come siamo arrivati su quel palco e perché vogliamo raccontare proprio a quel pubblico il nostro argomento è la molla che trasforma un indolente “uffa, un’altra litania” in un frizzante “aspetta, aspetta, che mi interessa”.
Ovviamente, alla storia che “acchiappa” deve seguire un contenuto altrettanto interessante. Per fare centro, tutta la narrazione va tarata sui benefici. Il passaggio strategico è fra “grazie per essere qui” (il pubblico ha già scelto di esserci e non gli interessa di essere ringraziato) e “oggi vi parlo di tre argomenti, alla fine vi porterete a casa altrettante tecniche da adottare subito”.
Partire con il botto
Quando c’è un elemento preponderante (le generose forme della tabaccaia), tutto il resto scompare. La curiosità spinge a scoprire di più e fa sì che l’attenzione rimanga per lungo tempo “sul pezzo”.
Una buona presentazione non fa eccezione. Ciò che non ti aspetti (“sono qui grazie a un fallimento”) stimola subito il desiderio di sapere “perché?”, “cosa è accaduto?”, “come ci è riuscito?”.
E se fosse tutto un trucco?
Spesso, la prima impressione ci inganna. Si vedono in giro prosperosi pettorali che dopo una “scandagliata” più attenta rivelano tutta la loro consistenza sintetica.
È il caso delle presentazioni “frizzi e lazzi” in cui gli effetti speciali celano in molti casi una totale mancanza di contenuto. E così, all’iniziale ipnosi cognitiva, segue una cocente delusione.
Non è il caso della presentazione della tabaccaia dove, invece, le promesse vengono mantenute fin dall’inizio.
Dall’apparire alla sostanza
“Cos’è che volevi? Una Nazionale? Toh, te la regalo…”, ecco la soluzione ai grafici indecifrabili, ai muri di testo, ai giri di parole che aleggiano ronzanti nella sala.
Arrivare al sodo, senza perdersi in inutili orpelli perditempo. Perché parlare di una “verdura lunga e nera” quando puoi far vedere l’immagine di una melanzana?
Non è solo una questione di praticità. Ne va di mezzo la maggiore comprensione del messaggio, non fosse altro per la rapida elaborazione delle immagini (il cervello le processa in tempi rapidissimi, dai 13 ai 100 millisecondi) rispetto al maggior carico cognitivo richiesto dall’interpretazione dei testi scritti.
Va da sé che le immagini da sole non possono raccontare tutto. Quello che non dicono è nel copione (nascosto) del presentatore. Come dire, un novello Titta.
Ho sempre guardato di più le figure ..che letture,
anche nei giornaletti a fumetti per più grandicelli
quindi non posso essere che d’accordo !! ;-))
Scherzi a parte condivido in pieno, anche se quelle due parole
che rafforzano il visual sono la sintesi di uno studio attento nei contenuti ..
un novello Titta ? me lo spiega lei Gridelli o cerco su google ??
grazie a presto
Fabio Bargnesi
Google è tuo amico 😉 https://it.wikipedia.org/wiki/Amarcord
Ho capito ! Guarderò il film “Amarcord”
😉