Alla parola studente associamo inevitabilmente il contesto scolastico, con tutti i vari “traguardi” da raggiungere (licenza, diploma, laurea).
Poi, una volta usciti da scuola smettiamo di studiare e ci mettiamo a fare le “cose da grandi”, come se l’apprendimento fosse materia adolescenziale o poco più. Non voglio generalizzare, ma rilevo questa convinzione in molti partecipanti alle mie didattiche di formazione aziendale.
Pertanto, in queste situazioni il primo obiettivo che mi pongo è quello di convincere i discenti che l’apprendimento non finisce mai. Non termina con la scuola, non si esaurisce quando troviamo un lavoro e, sicuramente, non svanisce nel momento in cui andremo in pensione.
Per farla breve, il messaggio che cerco di fare passare è che smettere di imparare significa in buona sostanza smettere di vivere.
Siamo fatti di acqua, carbonio e curiosità. Se osserviamo bene le persone che ottengono risultati straordinari nel loro campo (e, spesso, anche in altri ambiti distanti dal loro), ci accorgiamo che oltre all’intelligenza, al coraggio e a una buona dose di resilienza, li accomuna anche il fatto di possedere una forte attrazione per il sapere.
Leggere un libro è solo una piccolissima parte del processo di apprendimento. Assorbire delle informazioni ha senso solo all’interno di un rapporto dialettico con quello che sappiamo già, con il nostro senso critico, con la costruzione di nuove traiettorie di pensiero. In breve, l’apprendimento è un processo continuo.
Quando sento qualcuno affermare che “è arrivato” (ma dove?) e che non ha più alcuna necessità “pratica” di imparare, in realtà capisco che mi sta solo dicendo di aver un gran bisogno di stimoli per conoscere cose nuove.
La formazione aziendale assolve al suo compito quando si affranca dal nozionismo passivo, che poi è anche il motivo per cui viene mal sopportata. La voglia di imparare, all’opposto, nasce quando ci vediamo proiettati dentro la soluzione di un nostro bisogno. Ecco perché imparare-facendo è lo sfondo ideale in cui è possibile rianimare il desiderio di conoscenza.
La formazione dell’apprendimento
Mettiamoci il cuore in pace, trasferire argomenti sconfinati e, di fatto, inesauribili, con un modulo di formazione è solo una pia illusione.
La mia idea di formazione ha più a che fare con il lievito che con il pane. Ovvero, più stimolazione dell’interesse, e quindi invito allo studio di approfondimento individuale, piuttosto che regola manualistica già bell’e cotta.
Oggi disponiamo di un accesso pressoché illimitato alla conoscenza, per questo diventa indispensabile educare all’osservazione e alla selezione delle informazioni. Cioè, insegnare l’utilizzo degli strumenti tecnici e, soprattutto, cognitivi per sceglierle, combinarle, smontarle.
Una volta che un’informazione è stata metabolizzata, va utilizzata. Non mi riferisco solo alla sua implementazione in senso pratico (ad esempio, come utilizzare un software), ma anche alla capacità di innescare una riflessione sugli errori commessi e sulla loro comprensione in futuro.
Studiare è cambiare, in meglio
Al lavoro, ma anche in tutte le nostre faccende quotidiane, applichiamo dei modelli che prima di diventare tali hanno attraversato tre fasi.
La definizione di una routine inizia sempre con l’esplorazione (una nuova idea, una nuova tecnologia, una nuova soluzione) che, manco a dirlo, è spinta dalla curiosità e dal desiderio di conoscere.
Dopodiché cerchiamo il modo di perfezionare quanto appreso, ed è in questo momento che lo studio prende in mano la situazione. Per farla breve, abbiamo imparato a fare le foto (conosciamo l’utilizzo tecnico della macchina fotografica), ma sentiamo il bisogno di saperne di più sulla realizzazione dei primi piani, sulla gestione dei tempi e dei diaframmi in condizioni particolari, sugli obiettivi più adatti, etc.
A questo punto, la routine viene processata dal cervello che la renderà automatica ogni volta che sarà necessario.
Ma come facciamo a essere certi che stiamo facendo la cosa migliore possibile? Semplicemente, non stancandoci mai di esplorare nuove strade. Praticamente, non smettere mai di studiare.
Per quanto possiamo dirci abili in quello che facciamo, in fondo rimaniamo sempre dei principianti. La nostra specie si è evoluta perché non si è accontentata di inventare la ruota, ma ha cercato il modo di aggiungere le altre tre. E poi, ha trovato la maniera perché le ruote potessero staccare la loro ombra dalla Terra e andare sulla Luna, su Marte, su…
Non ci piace metterci in discussione, e tanto meno ci entusiasma dubitare di quello che sappiamo. Siamo fatti così, ci facciamo governare dal nostro ego ed è sempre lui che uccide il nostro impulso a imparare e fare cose nuove.
Lo studio è quella “abitudine” che ci fa dubitare, a cominciare dal nostro comportamento. Non possiamo minimamente pensare di cambiare le convinzioni degli altri, se non siamo noi i primi a farlo con le nostre.
Il formatore non deve limitarsi a dire ciò che deve essere imparato, deve diventare un modello di ciò che afferma e, soprattutto, ammettere ciò che non sa. Sapere tutto è una finzione che esprime solo un ego pieno di ignoranza.