Chiudi gli occhi e immagina questa scena: la lama dell’affettatrice gira velocemente e tu ti avvicini con la lingua sempre più, fino quasi a sfiorarla. Fatto? Hai provato un brivido? Probabilmente, molti di voi avranno percepito una sensazione di fastidio.
Si è verificata una reazione fisica. Non c’era l’affettatrice, c’erano solo le parole che l’avevano descritta.
Questo e altri esempi di vivida immaginazione fanno comprendere l’onnipresente cifra della rappresentazione del mondo. Senza scomodare Schopenhauer, le parole hanno il potere di costruire (e distruggere) la realtà (s)oggettiva di ciascuno di noi.
Spostando l’attenzione su un altro piano, non abbiamo difficoltà (magari inconsapevolmente) a distinguere il diverso stato d’animo che innesca in noi la narrazione del beneficio di un determinato prodotto (che da quel momento sentiamo già un po’ più “nostro”), rispetto alla fredda descrizione tecnica del medesimo. Il prodotto (o il servizio) è sempre quello, ma la sua “trasformazione” in sensazioni avviene solo grazie alle parole.
Ora, è pur vero che il mestiere del copywriter è fra quelli meno valorizzati (le proverbiali “scrivimi due righe” rappresentano il livello minimo della considerazione), ma sarebbe miope non vedere come tutto il castello del marketing (aberrazioni comprese) stia in piedi esclusivamente con le parole.
Nessuno nasce con le doti di Dante o di Shakespeare, pur tuttavia un uso attento delle parole molto spesso si traduce in un maggior coinvolgimento dell’interlocutore, lettore o potenziale cliente che sia.
Siamo sulla stessa lunghezza d’onda?
Vogliamo fare effetto? E allora giù di gergo specialistico e/o accademico. Risultato? Un oceano di distanza fra le nostre intenzioni e le aspettative del cliente. Al contrario, uno stile colloquiale improntato su quello che quest’ultimo ha già in testa crea uno scenario (un mondo?) completamente nuovo.
Così?
Scarpa da running in Flyknit con pod in gomma a struttura differenziale.
O meglio così?
Dopo ogni allenamento ti fanno male i piedi? Basta, da oggi scegli di correre sul velluto!
Il luogocomunismo
I cliché, le banalità e i luoghi comuni, oltre a essere privi di qualsivoglia significato concreto, sono fastidiosi e danneggiano la credibilità di chi scrive.
La ragioni sono almeno due e del tutto evidenti: si comunica qualcosa di poco originale con la potenziale aggravante del falso.
Cosa significa realmente che “puntiamo ai risultati”? Se qualsiasi attività non agisse in questo modo, sarebbe fuori mercato o non esisterebbe proprio. Allo stesso modo, buttare lì a peso morto il consumato “fatto su misura”, non aggiunge niente se non decliniamo anche il “come”, lo “scopo” e il “perché”.
Unici per vocazione
Tutto è già stato inventato? Tutto è già stato detto? Con ogni probabilità, oggi tali quesiti danno luogo a risposte più affermative che in passato. La pizza la puoi fare quadrata, triangolare o con mille diavolerie sopra, ma sempre pizza è.
Diverso è stato il ragionamento fatto da Domino’s Pizza quando ha deciso di diventare una grande impresa di ristorazione (11.000 pizzerie in 70 paesi nel mondo). Qual è il problema di tutti quelli che ordinano la pizza a domicilio? Vedersela consegnare in tempi rapidi e, ovviamente, ancora calda.
Domino’s Pizza si poteva limitare a dire quello che dicono (e continuano a dire) molti dei suoi competitor: “Cerchiamo di arrivare prima possibile”. Invece, ha usato una nuova combinazione di parole che, al tempo stesso, si è anche tradotta nel suo marchio di garanzia: “Consegniamo in 30 minuti, in caso contrario la pizza la offriamo noi”. Facile, seducente, verificabile.
Facciamola corta
Chi deve raccontare la propria attività ha per la testa un milione di cose, per lui tutte importanti. Ma lo sono davvero anche per il cliente? Lo dico senza paura di smentita, no!
“Ti piacerebbe ricevere tutte le settimane la newsletter che parla dei nostri ultimi prodotti ed entrare così a far parte del nostro prestigioso database di clienti premium?”, la risposta è… ma chi se ne frega. Il cliente non ha tempo da perdere con i nostri stucchevoli riempitivi lessicali, al contrario vuole l’immediatezza di un “Iscriviti adesso”. Un invito che va ben al di là del suo stesso significato, perché nella testa di chi fa l’azione viene istantaneamente rappresentato un paesaggio di concretezza, trasparenza, affidabilità.
Stupiamoli con effetti (quasi) speciali
Nessuno si è mai entusiasmato fino alle lacrime al cospetto di una montagna di numeri e di statistiche. Certo sono elementi di analisi importanti, ma il loro scopo è quello di supportare un racconto, non sono il racconto.
Il tempo della grande marca che “lava più bianco” di tutte le altre è finito. Il consumatore (altra definizione arcaica) cerca parole cariche di autentica personalità. Vuole essere sorpreso con qualcosa che non si aspetta (“11 cose che i grandi manager fanno e che tu stesso fai tutte le mattine”), ma soprattutto vuole ascoltare e dialogare con una voce, con una mente, con un cuore.
“Ti aspettavi una email di risposta automatica? Sorpresa! Sono Marco, il responsabile dell’ufficio marketing, e mi fa piacere dirti che quest’estate ho trascorso un weekend da favola nella tua città. A proposito, come si chiama quella trattoria vicino al porto dove la cuoca racconta i suoi passati di attrice?”. Ovvio, ho un po’ esagerato. Ma solo per adesso. Le nuove parole del marketing si presenteranno molto presto, prima di quello che possiamo immaginare.