7 cose che si dovrebbero insegnare nei corsi di formazione aziendale

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Non c’è formazione aziendale che tenga se si eludono i presupposti essenziali nella gestione delle relazioni. Puoi anche diventare un mago della SEO, ma se non vai oltre un biascicato “buongiorno” (quando va bene) nel contatto che hai con le persone, allora la tua specializzazione, per quanto profonda, vale molto poco.

Fare formazione non significa solo insegnare nozioni specialistiche (preziose e importanti), ma anche tutta una serie di abilità (oggi le chiamiamo soft skill) che sono il corollario fondamentale per avere successo nelle professioni e nella vita.

Capacità di dialogo

Le ultime generazioni, in particolare i Millennial e la Gen Z, in una parola gli Zennial, sono perlopiù “silenziose”. Quando mi capita di avere delle aule di apprendisti, noto subito una disaffezione nel “parlare con qualcuno” attraverso il mezzo vocale. I “vocali” di WhatsApp non fanno testo (per meglio dire, sono solo l’altra faccia della medaglia del “testo” mediato), la questione è riferita alla difficoltà di connettersi faccia a faccia con le altre persone.

Sapere interloquire con gli altri, conoscere le regole dell’alternanza fra il parlare e l’ascoltare, avere la capacità di discutere le idee e mai le persone (questo vale anche online), sono tutti presupposti che possono fare la differenza fra conoscere le cose e dare un senso a quelle cose.

Elaborazione del pensiero

Tutti i giorni prendiamo delle decisioni che impattano su noi stessi e sugli altri. Per questo, abbiamo la necessità di elaborare intellettualmente scenari e situazioni dove “visualizzare” felicità e rimorso, costruzione e distruzione, successo e fallimento.

I corsi di formazione sono generalmente pragmatici. L’apprendimento di dati specifici (spesso mediante un’attività di memorizzazione meccanica) diventa funzionale solo al superamento di un test (quando è previsto) o al “liberarsi” del monte ore del modulo (in tutti gli altri casi).

Tuttavia, questo approccio diventa un ostacolo tutte le volte che si presenta un problema (ma quanto suonano meglio “sfida”, “progetto”, “opportunità”?). Imparare a districarsi fra le conseguenze logiche delle situazioni e, di pari passo, abituarsi a riflettere su tutti gli elementi di una determinata questione, diventa la chiave di volta della soluzione. Cosa stiamo risolvendo? È sempre la domanda di partenza che ci fa superare l’incoerenza autoreferenziale di cui tutti, chi più chi meno, soffriamo.

Cavarsela senza tecnologia

Probabilmente, verrà un giorno in cui non saremo più in grado di comprendere la “logica” del funzionamento di un orologio con le lancette. Se tutto sommato ciò può sembrare una perdita di poco conto, ha di certo risvolti più complessi il distacco dalla nostra nuova estensione biologica, vale a dire lo smartphone.

Un esercizio che faccio fare spesso, non solo nei moduli di problem solving, è quello di simulare di trovarsi in una città sconosciuta senza avere con sé il “fedele” telefonino. Dalle probabili soluzioni che scaturiscono, mi rendo conto come i partecipanti (non solo i cosiddetti “nativi digitali”) si trovino a dare per scontate delle “abilità”, attribuite come proprie, che in realtà hanno di fatto delegato al silicio.

Abbiamo fatto l’upload (con il taglia e incolla) di gran parte della nostra memoria organica e a malapena ci ricordiamo il nostro numero di telefono. Facciamo la stessa cosa con una miriade di altre informazioni. Perché dovrei tenere a mente la lista della spesa quando posso fotografare il frigorifero?

Ritornare a esercitare lo “sforzo” mnemonico è soprattutto una faccenda essenziale che rafforza la qualità del nostro sapere.

Le buone maniere

Nonostante ritenga molte regole del galateo alquanto stucchevoli e goffe, ci sono dei “modi” educati che ancora oggi incidono sull’impressione che facciamo agli altri.

Mi riferisco alle buone maniere del salutare, alla gentilezza di ringraziare, fino a quella ormai desueta di chiedere “permesso”. Pensateci, non si tratta solo di una questione di etichetta: quanto controbilanciamo le nostre lacune con un “per favore” detto in maniera sincera?

Il lavoro non ci viene (più) a cercare

La società liquida è per definizione fluida. Il posto fisso del ragionier Ugo Fantozzi non esiste (quasi) più, e sempre con maggiore frequenza saremo chiamati a cambiare lavoro, a rimodularci, a investire su di noi in un’ottica di apprendimento continuo (qui c’è tutto il senso della necessità della formazione aziendale).

Quindi, alle buone capacità comunicative si aggiungono elementi strategici che comprendono, oltre al saper scrivere una lettera di presentazione (questa sconosciuta) e un curriculum vitae che non sia una fotocopia di quello del cugino, la gestione efficace del colloquio, la negoziazione, la conoscenza dei propri diritti.

Anche in questo caso, indipendentemente dalla tipologia di corso, l’esercitazione con interviste simulate fa acquisire la necessaria autostima per affrontare una nuova esperienza lavorativa.

Fallire significa sbagliare sempre meglio

L’esperienza lavorativa di ciascuno di noi è costellata di errori, praticamente perpetuati su base quotidiana. Per altro verso, la paura di sbagliare porta all’immobilismo.

Il fallimento, ma soprattutto imparare “la lezione”, insegna a essere tenaci, a superare i sensi di colpa, a forgiare il carattere indispensabile per attraversare gli alti e i bassi della vita (lavoro compreso).

Il tempo è distribuito in misura uguale per tutti

Chi fa molte cose, non riesce in questo intento perché “ha più tempo”, semplicemente ha fatto proprie due condizioni per lui irrinunciabili: la gestione e la motivazione.

La gestione del tempo è soprattutto una questione di organizzazione. A modo loro, anche quelli che arrivano sistematicamente al lavoro con cinque minuti di ritardo sono, per così dire, organizzati. Purtroppo, in un modo poco efficace.

Organizzare il proprio tempo significa innanzitutto stabilire delle priorità e ciò si verifica solo se ci si ferma a riflettere. Pensare non è tempo perso, ma tempo in più.

Non esiste la “mancanza di tempo”, esiste piuttosto la mancanza di motivazione. Per le cose che ci piacciono (per le altre, facciamo in modo di farcele piacere) il tempo lo “troviamo” sempre.

In un mondo che corre vertiginosamente verso l’istantaneità, i veri ricchi saranno solo coloro che avranno tempo da spendere.

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7 cose che si dovrebbero insegnare nei corsi di formazione aziendale
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7 cose che si dovrebbero insegnare nei corsi di formazione aziendale
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La formazione aziendale è fondamentale non solo per acquisire competenze specialistiche, ma anche per dotarsi di soft skill indispensabili.
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Sergio Gridelli Blog
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Categorie: Coaching

Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

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