Le cose che ho imparato sbagliando

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Pallina di carta

La vita è un condensato di investimenti emotivi. Il senso è duplice, sia in quanto trasformazione redditizia delle esperienze che nell’accezione di sbattere violentemente contro i problemi che affollano la quotidianità di ciascuno di noi.

Per quanto possiamo essere più inclini a dare maggior credito ai successi, gli errori costituiscono la raffinata ribellione delle nostre debolezze, dei nostri atteggiamenti approssimativi, della nostra arrendevolezza.

Senza voler fare a tutti i costi l’apoteosi degli sbagli, mi sono accorto che rappresentano concretamente il presupposto essenziale dell’esperienza.

Ci sono sempre un Piano B, C, D e… Z

Mi è capitato molto spesso di dire “non è possibile”, abbandonando quasi subito il campo senza possibilità di appello. Bloccare il cervello sulla resa significa restare dentro la stessa categoria di pensiero che ha generato quel tipo di difficoltà.

Di conseguenza, continueremo a utilizzare il cacciavite per stringere una vite, il martello per piantare un chiodo, la chiave inglese per allentare un bullone. Solo l’uscita dagli schemi predefiniti ci consentirà di sbagliare sempre meglio e, quindi, di trovare la soluzione.

Pertanto, anziché arrovellarmi sul “come fare”, ho trovato molto più utile riflettere sul “cosa farei per fare andare la situazione peggio di così”. La pratica della non-soluzione è ricca di sbagli, ma alla fine è l’unica che per contrasto rivela la giusta strada.

Il segreto delle idee che funzionano

Il piacere elettrizzante di aver avuto, almeno una volta, l’idea del secolo è una scossa emotiva che accresce il nostro senso di autostima.

Ma quando un’idea è davvero un’ideona? Ho sempre creduto che se spieghi la tua intuizione a qualcuno, e questi la capisce al volo, hai fatto centro. Purtroppo, il tempo mi ha raccontato un’altra verità.

Le idee apprezzate, elogiate e sostenute fin da subito, in realtà manifestano tutta la loro debolezza. Detto altrimenti, sono idee che non minacciano l’approccio cognitivo di nessuno, cioè non si spingono oltre i confini dei significati scontati.

Magari non sarà perfetta, ma l’idea vincente è quella che costringe gli interlocutori a fare domande, perché ogni volta che ci sono degli interrogativi significa che c’è ancora altro spazio da esplorare, da modificare, da migliorare.

Le medaglie non si portano sempre al collo

La mia generazione è figlia del pezzo di carta o, per dirla in maniera più pragmatica, dell’ostentazione del titolo di studio sul biglietto da visita o sulla targa d’ottone sulla porta dell’ufficio.

Dopo anni di “sacrifici da studio” (per amor di verità, in miniera hanno un altro concetto delle fatiche) anch’io bramavo l’etichetta di convalida davanti al mio nome. Come dire, uguale a molti altri, volevo che la gente sapesse del mio “percorso di guerra”.

Poi è bastato sbattere il naso in qualche accidente serio e ricordarmi della lezione pirandelliana sugli esami a farmi capire che l’ostentazione dei titoli è di quanto più effimero possa esistere.

È stato un giorno bellissimo quando ho capito che “io ho fatto” era di gran lunga più premiante di “io sono”. Da quel momento sono ritornato a essere Sergio Gridelli, senza nessun altro fronzolo prima del nome. Le persone ascoltano le tue esperienze, non i tuoi titoli.

Il successo fa rima con essere, non con avere

È superfluo fare l’elenco delle professioni in cui molti dei loro “titolari” dimostrano la misura del successo esponendo alla pubblica invidia automobili lussuose, natanti da mille e una notte, dimore da copertina patinata.

Puoi fare tutti i giuramenti di Ippocrate che vuoi e non solo nella professione medica, ma se giudichi (e vuoi che gli altri giudichino) la tua affermazione in base alle cose che possiedi, non sarai mai soddisfatto né di te, né del tuo lavoro.

Il vero appagamento scaturisce solo dall’essere profondamente innamorati di ciò che si fa. È questo che spinge a fare sempre meglio e a diventare persone migliori. Le cose più preziose della vita non sono cose. Prima lo capiamo e meglio è.

La scrivania non è il mondo

Le occasioni migliori che mi sono capitate non sono mai atterrate da sole sulla mia scrivania. Certo, una buona dose di disciplina quotidiana è indispensabile, ma l’ispirazione e la creatività mi si sono sempre presentate quando ero lontano dalla zona di comfort della mia stanza.

Quando i sensi sono esposti a qualcosa di estraneo, ecco accendersi la scintilla dell’innovazione. Ho avuto le intuizioni più efficaci per le mie presentazioni quando ero in luoghi, per così dire, non convenzionali per un professionista.

Sulle montagne russe mi è venuto in mente come confezionare le slide per un corso sulla sicurezza, dentro un museo ho pensato alla relazione fra social media e miti greci, durante il jogging in aperta campagna ho intuito il nesso fra ecologia e PowerPoint.

Dire di sì prima di capire come fare

Tutte le volte che ci viene offerto un nuovo incarico, è naturale non disporre di tutte le risposte necessarie per affrontarlo. Questo mi ha impedito di accettare molte opportunità.

Da questi errori (perché sono tali) ho imparato che l’ignoto non è qualcosa da temere. La sfida consiste nell’entusiasmo a imparare continuamente cose nuove. Quindi, la vera domanda che ci dobbiamo fare è “sono disposto a credere in me stesso?”. Se la risposta è sì, abbiamo già trovato tutto il necessario per affrontare l’inedita situazione.

Il giudizio non è mai universale

Chi fa sbaglia, lo sentiamo dire e ce lo diciamo a nostra volta. Tuttavia, la paura di sbagliare è spesso un muro dove mandiamo a sbattere frasi come “gli altri cosa penseranno di me?”, “e se poi non piace quello che faccio?”, “quali conseguenze potrebbe avere il mio insuccesso?”.

L’ansia di fallire è paralizzante. Tutti quelli che hanno fatto qualcosa di importante hanno sempre sbagliato la prima, la seconda e, in taluni casi, anche la millesima volta. La differenza è che credevano nelle loro capacità, a volte nel loro sogno, e hanno vinto.

La lezione che ci hanno lasciato si chiama esperienza.

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Categorie: Coaching

Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

2 commenti

  1. Buongiorno Sergio,

    Quello che ho appena letto è uno dei pensieri, messaggi, consigli o meglio verità che io abbia mai letto !

    Da tenere sotto il cuscino e leggerlo ogni mattina prima di partire “ e andare in guerra” per un nuovo giorno di lavoro !!

    Grazie per il tempo che dedichi gratuitamente ( perlomeno per ora) alla scrittura di questi tesori per una vita migliore !

    Fabio Bargnesi

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