Le mani parlano

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mani a forma di cuore

Quando facciamo una presentazione in pubblico ci accorgiamo, quasi fosse la prima volta, di avere due mani. Appendici che non sappiamo mai dove mettere.

[bctt tweet=”Se non sai che fare delle tue mani, trasformale in carezze. (Jacques Salomé)”]

C’è chi le tiene in tasca (ostentando una sorta di falsa sicurezza), chi le mette a protezione dell’apparato riproduttore (generando una posa inconsapevolmente adamitica), chi mima la caffettiera (con una mano piantata nel fianco per tutto il tempo), chi le nasconde dietro la schiena (trasmettendo un’angoscia da martirio di San Sebastiano), chi aggancia i pollici alla cintura (come il gringo che entra nel saloon). Il repertorio potrebbe continuare all’infinito, e sono certo che ognuno di noi è stato testimone di numerose altre (sconvenienti e divertenti) posture.

Appare dunque chiaro come le mani dispongano di un linguaggio proprio. Una specie di seconda lingua che può essere del tutto autonoma (il significato del pollice alzato non necessita di parole per essere compreso), confermare, rafforzare e sottolineare il senso di un discorso, oppure segnalare a chi ci ascolta un’evidente incongruenza fra quello che diciamo e ciò che effettivamente viene percepito (è il caso di tutte quelle volte in cui liquidiamo mentalmente l’interlocutore con un perplesso “a pelle c’è qualcosa che non mi convince”).

Pertanto, un uso appropriato della gestualità delle mani arricchisce l’esposizione verbale e la rende di fatto più efficace. Una volta messi a punto i concetti da esporre, le eventuali slide a corredo e il giusto tono della voce, possiamo concentrarci sulle mani per aggiungere informazioni appropriate a tutto quanto.

1. 100% naturale

Può sembrare banale, ma i migliori risultati si ottengono quando ci dimentichiamo delle mani. Saranno loro ad adattarsi naturalmente al nostro discorso e soprattutto, così facendo, trasmetteranno un forte carattere di autenticità. All’opposto, studiare a tavolino gesti roboanti, o sopra le righe, al puro scopo di impressionare il pubblico, fa ottenere come unico risultato quello di distrarre chi ci ascolta.

2. Tutti sappiamo contare

Di solito, indicare i numeri con le dita viene piuttosto naturale. Cerchiamo di non dimenticarcene ogni qualvolta dobbiamo definire in quanti punti si articola l’intervento, quando introduciamo un certo numero di idee chiave, laddove sia necessario sottolineare una quantità.
In questi casi, il massimo dell’efficacia la si ottiene con numeri uguali o inferiori a cinque (possiamo indicarli con una mano sola, lasciando l’altra libera). Evitiamo, per non scadere nel rocambolesco (e anche per ovvi motivi anatomici), di cercare la rappresentazione gestuale di numeri superiori a dieci.

3. Niente da nascondere

I palmi delle mani aperti e ben visibili mettono il pubblico a proprio agio. Fanno scattare inconsciamente la rassicurazione che non abbiamo niente da nascondere. Si tratta della rappresentazione atavica dell’assenza di qualsiasi tipo di minaccia. Facciamone buon uso.

4. Cosa c’entra il baseball?

C’è un’area, detta zona dello strike, nella quale sarebbe buona norma mantenere la propria gestualità per evitare effetti distraenti sul pubblico. Non si tratta di un divieto assoluto a varcarne i confini (la suddetta zona va dai fianchi fino alle spalle), ma gesticolare per tutto il tempo al di fuori di questo spazio non produce buoni effetti.

5. Vietato puntare

Il dito puntato verso le persone, anche se esibito in un contesto tutto sommato cordiale, è sempre collegato a una sorta di aggressione. Una situazione che finisce per mettere a disagio il pubblico.
Puntare qualcosa è spesso sinonimo di comunicazione imperfetta. Infatti, se dobbiamo indicare la parte di una slide, interroghiamoci sul suo senso effettivo e affrettiamoci a sostituirla.

6. Riposo

Se l’intera presentazione è costellata da una forsennata attività cinetica delle mani, tutto si appiattisce. Cioè, non si capisce più quali possono essere i passaggi dell’intervento degni di essere sottolineati.
Quindi, sarebbe buona norma prendersi una pausa, di tanto in tanto, e riportare le braccia a riposo lungo il corpo. Si crea così un contesto di causa-effetto in cui la gestualità amplifica solo i passaggi salienti dell’intervento.

7. A mani vuote

Sempre per il motivo anticipato in premessa, appena ci accorgiamo di avere due mani ci sale l’ansia di non sapere mai cosa far fare loro. Spesso la risposta automatica consiste nell’afferrare un oggetto (una penna, un foglio, una bacchetta). Succede che, in maniera del tutto inconsapevole da parte dell’oratore, lo strumento in questione viene “torturato” senza sosta per tutta la durata della presentazione. Ed è proprio su quella frenetica attività che si concentrerà l’attenzione del pubblico. A un certo punto, l’oggetto sfuggirà di mano, e di tutto il nostro bel discorso le persone si ricorderanno solo di quando ci siamo chinati per raccoglierlo.

8. Mai, mai, mai dietro il leggio

Il catafalco dietro il quale sembra obbligatorio relegare il relatore, è quanto di più anti-comunicativo si possa pensare. A costo di sembrare degli estroversi, insistiamo per stare sempre davanti al pubblico con tutto il corpo.
Il leggio, oltre a occultare un buon 70% della nostra superficie comunicativa corporale, dà luogo a riflessi incondizionati tragicomici. Tutti abbiamo visto stuoli di relatori letteralmente aggrappati a questo trespolo, con le mani che diventano bluastre per quanto stringono. Il leggio non è un salvagente. Anzi, sovente è l’incudine che ci fa affondare.

9. Non siamo mica la Merkel!

La cancelliera tedesca Angela Merkel fa un gesto con le mani che è diventato il suo marchio di fabbrica. Il Merkel-Raute, così si chiama questa particolare raffigurazione gestuale, consiste nel congiungere le mani davanti al corpo con i pollici e gli indici che si toccano verso il basso, a formare una specie di diamante.
Detto fra noi, replicare nelle nostre esibizioni la “firma” della Merkel ci farebbe solo sembrare ridicoli e forzatamente teatrali. Evitiamo.
Tanto più che, al di fuori di ogni forma di volontarietà, questo gesto può facilmente venire confuso con la rappresentazione di una parte del corpo femminile, generando un messaggio del tutto fuorviante e disdicevole.

Photo by jarmoluk

Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

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