Nativi digitali, cioè?

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adolescente con smartphone

Quando vedo mia nipote di dieci anni spiegare a sua madre come configurare le notifiche sullo smartphone, non posso fare a meno di ripensare ai miei soldatini di quando avevo la sua stessa età. Sembra trascorsa un’era geologica, e forse è davvero questa la distanza tecnologica che intercorre fra le nostre generazioni.

Alice è una nativa digitale

Questa è la definizione coniata da Marc Prensky nel “lontano” 2001. Nonostante ciò, ho sempre avuto più di una difficoltà a riconoscere in questa denominazione anche un’automatica abilità nel padroneggiare il “digitale” a 360 gradi. Un conto è nascere con un tablet nella culla, tutta un’altra faccenda è acquisire una competenza (e una consapevolezza) circa il funzionamento degli aggeggi informatici e, più in generale, del web stesso.

[bctt tweet=”Natività digitale non è la stessa cosa di saggezza digitale.”]

Tranne pochissime eccezioni, le mie artigianali osservazioni empiriche mi confortano nel sostenere come gli adolescenti always connected non abbiamo ben presenti i rischi che corrono navigando con una rete wi-fi aperta, quando autorizzano l’accesso di un’app ai loro dati personali, nel momento in cui pubblicano sui social media immagini di un certo tipo. Per citarne solo alcuni.

Ci troviamo di fronte al falso mito dei nativi digitali?

Di certo, esiste una generazione che considera il touch o il web come “oggetti” di natura, cioè “cose” che esistono da sempre. Un po’ come per noi baby boomers risulta inimmaginabile pensare a case senza bagno, senza frigorifero, senza televisione.

Allo stesso modo sono indubitabili gli effetti della tecnologia sui comportamenti degli individui. Ma il sostenere una differenza antropologica fra generazioni “native” e “immigrate”, relativamente al digitale, mi sembra ancora tutta da dimostrare. Anche perché, volendo marcare tout court una disuguaglianza su base generazionale, si finisce per non tenere conto di variabili come il digital divide, la disponibilità di device digitali, l’approccio mentale alle trasformazioni che incidono sulla vita di tutti, a prescindere dalle rispettive età anagrafiche.

Stiamo sopravvalutando le abilità dei nativi digitali?

Un po’ metafora del cambiamento e un po’ slogan (anche nella sua valenza commerciale), l’etichetta di nativi digitali va presa semplicemente per quello che è: la nascita di una nuova cultura partecipativa. In questo senso è più che evidente vedere in prima linea chi si ritrova, suo malgrado, pubblicato su Facebook fin dall’ecografia. Su altri livelli, è anche del tutto naturale l’innamoramento per i gadget info-tecnologici da parte dei giovani e dei giovanissimi.

Tuttavia, sullo sfondo c’è inevitabilmente il naturale divario generazionale dentro il quale, dalla notte dei tempi, fa da spartiacque il sempre attuale dilemma “dove andremo a finire?”. Varrebbe sicuramente la pena cercare di comprendere (prima ancora di domandarsi a quale età sia “giusto” regalare lo smartphone) i bisogni di socialità di un’intera generazione che rispetto a noi appare, per quanto connessa, più sola e con molta meno speranza nel futuro.

I nativi digitali, questo sì, hanno avuto la fortuna di nascere in un’epoca che offre sicuramente più possibilità tecniche di quelle che abbiamo avuto noi, aberrazioni comprese. Ritenerli assoluti esperti digitali o, per un altro verso, disconoscere la loro “naturale” dimestichezza con i nuovi strumenti della rete, è allo stesso modo sbagliato.

Il mondo, da quando è mondo, funziona grazie a quel misto di energia e di esperienza tipico delle diverse età della vita. La formidabile lezione di Bauman sulla società liquida forse è anche lì a dirci che, fra le altre cose, i vasi non sono mai stati così comunicanti. Un’opportunità per quelli che hanno ancora tutto davanti, ma anche per quelli come me che stanno invecchiando dentro il pulviscolo dei bit.

Di Sergio Gridelli

Sono nato e vivo a Savignano sul Rubicone (FC), una piccola città della Romagna attraversata dal fiume che segnò i destini di Roma. PERCHÉ LO FACCIO Ho sempre pensato che l’impronta di ciascuno di noi dipenda da un miscuglio di personalità e di tecnica. Se questi due ingredienti sono in equilibrio nasce uno stile di comunicazione unico, subito riconoscibile fra tutti gli altri. Perché in un mondo tutto marrone, una Mucca Viola si vede eccome! COME LO FACCIO Aiuto le persone a trovare le motivazioni che le rendono uniche. Non vendo il pane, vendo il lievito. COSA FACCIO Mi occupo di comunicazione aziendale e della elaborazione di contenuti per il web. Curo i profili social di aziende e professionisti. Tengo corsi sulla comunicazione interpersonale, il public speaking, il marketing digitale e su come realizzare presentazioni multimediali efficaci.

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